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Aveva 31 anni ed era il capitano della Fiorentina. Ma soprattutto era un figlio, un fratello, un compagno e un padre

Stefano Fantoni

Questo è un pezzo senza titolo. Perché stavolta giochi di parole o frasi ad effetto non hanno proprio senso. Firenze, i fiorentini, il calcio italiano e ogni singolo appassionato di questo sport è in apnea da ventiquattr'ore. Da quando da Udine è arrivata la notizia della tragica scomparsa di Davide Astori.

Aveva 31 anni ed era il capitano della Fiorentina. Ma soprattutto era un figlio, un fratello, un compagno e un padre. Una grande persona perbene, come ha scritto Buffon. E sapere di non vederlo più in campo con la fascia al braccio e a portare in alto i nostri colori fa malissimo. Assistendo inermi alle tragedie di Puerta, Jarque, Morosini e Foe, inconsciamente ognuno di noi, forse, si sarà chiesto: chissà cosa stanno provando i tifosi di Siviglia, Espanyol, Livorno e Camerun.

Perché le tragedie non hanno e non devono avere colori, ma fino a quando non le provi in prima persona non ne capisci mai la portata reale. È come quando un amico perde un proprio caro e provi a consolarlo, ma senza sapere effettivamente cosa prova, fino a quando il dramma ti tocca direttamente.

Come era già accaduto in passato, Firenze e la Fiorentina sono diventate una cosa sola, per ricordare e onorare l'Astori uomo prima ancora che calciatore, per stringersi attorno a Francesca e alla piccola Vittoria, che un giorno capirà, attraverso i racconti di chi Davide lo ha conosciuto e vissuto da vicino, che grande persona perbene è stata il suo papà.

È dura, durissima da accettare. E probabilmente non ci riusciremo mai. Ciao Capitano.

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