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“Perché come lui vengo dal niente”. La notte di Valjean che Vanoli chiede a Ranieri

Matteo Torniai Redattore 

Per capire perché Vanoli sembri parlare a Ranieri come a un fratello minore, bisogna tornare alle sue origini. Prima dei titoli, delle finali europee, dei gol nelle coppe, Vanoli era un ragazzo che a vent’anni non aveva ancora messo piede nel calcio professionistico. Giocava nel Bellinzago ('91-'92), poi nel Corsico ('92-'93): squadre che oggi gravitano tra Eccellenza e Seconda Categoria.

Nessuno - proprio nessuno - avrebbe pronosticato che, di lì a qualche anno, avrebbe sollevato una Coppa UEFA, una Coppa Italia, una Supercoppa, sarebbe diventato titolare nel Parma stellare di fine anni ’90 e avrebbe segnato persino una rete in una finale europea.

Il passaggio al Venezia a 21 anni è stato il punto di rottura. Da lì, un’ascesa lenta, graduale, tutta costruita su concetti che oggi lui stesso predica ai suoi giocatori: cultura del lavoro; attenzione maniacale ai dettagli; spirito di sacrificio; studio continuo; grinta, ma mai slegata dalla concentrazione.

Non era un predestinato. Non aveva il talento di Baggio, ma aveva ciò che hanno i lavoratori silenziosi: intensità, tenacia, concentrazione, la capacità di non mollare mai.

Non sorprende, allora, che, una volta diventato allenatore, abbia mantenuto la stessa cifra umana: calma riflessiva, analisi continua, valorizzazione del gruppo e, soprattutto, la difesa delle virtù “operaie” del calcio.