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Palladino e quei 20 giorni di silenzio: la versione torna, le tempistiche un po’ meno
Diciamocelo francamente: serviva che Raffaele Palladino parlasse per confermare come il rapporto tra lui e il direttore sportivo della Fiorentina Daniele Pradè non fosse idilliaco? No, non serviva. C'è di buono che adesso possiamo scriverne non più appoggiandoci solo su quel che risulta, che può sempre essere contestato, ma su un virgolettato, che vi invitiamo a recuperare se ancora non lo aveste letto.
Tutte le ricostruzioni che sono state fatte di quei turbolenti giorni di fine maggio sono state vidimate dalle risposte del tecnico campano a La Gazzetta dello Sport, tranne una: va dato atto a Palladino di essersi dimesso non per accordi con altre società, ma esclusivamente per incompatibilità di progetti e idee con l'area tecnica viola. Va bene, le versioni tornano e, stando così le cose, non c'era davvero altra soluzione se non quella di separarsi dopo una stagione contraddittoria ma comunque da ben 65 punti in classifica. Però...
Palladino ha agito bene anche nel non dire nulla ai giocatori fino all'ultimo, per non turbare lo spogliatoio in alcun modo. Però nell'intervista che stiamo analizzando l'ex Monza dichiara che "quella sensazione" che "restare non era più possibile" se la "portava dentro da un po'". Passi la data del 7 maggio, giorno dell'attivazione dell'opzione per il rinnovo automatico di un anno: "Sul momento mi ha fatto piacere", ma poi si parla di "mente fredda", e allora nell'arco di tempo di 20 giorni che è intercorso tra l'annuncio del rinnovo automatico e la conferenza stampa del 27 maggio in cui Commisso lo definisce "come un figlio", confermandolo e benedicendolo per la stagione a venire, qualche segnale alla società di quel che sarebbe successo giusto il giorno dopo andava dato. Ne è risultato qualcosa di veramente surreale.
Una società annuncia i mancati riscatti di quattro giocatori (Zaniolo, Folorunsho, Colpani, Adli), parla di decisioni, affronta le prime questioni relative alla campagna successiva. Spiega i perché e i per come della decisione di andare avanti con il tecnico nonostante le contestazioni e i momenti difficili che hanno fatto da contraltare alle strisce di vittorie e alle serate memorabili contro le big, e appena 24 ore dopo l'ambiente piomba nel caos a causa di un fulmine a ciel sereno. Nulla di irreparabile, dato che è rimasto un mese per riorganizzarsi con Pioli (anzi, sul mercato la Fiorentina non si è mossa mai così presto, con Fazzini, Dzeko e Viti prima dell'inizio di luglio), ma rimane un brutto ricordo. Che forse offusca definitivamente quanto di buono (verità incontrovertibile) è stato fatto pur senza prendersi mai del tutto.
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