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Chiarugi: “Fiorentina, il blocco è mentale, ma il tempo per salvarsi c’è”

Redazione VN
L'intervista dell'ex attaccante della Fiorentina Luciano Chiarugi ai microfoni de La Gazzetta dello Sport sulla crisi viola

L’ex attaccante Luciano Chiarugi, simbolo della Fiorentina, che vive a Vicchio, ripercorre una crisi già vissuta in prima persona: quella della stagione 1992-93, con la squadra che retrocesse dopo 54 anni. Le sue parole a La Gazzetta dello Sport:

Cominciò Radice, poi arrivò Agroppi, infine ci chiamarono me e Antognoni. Ci dissero di restare sereni per 35 giorni. Facemmo i punti che servivano, ma all’ultima giornata non fummo aiutati dagli altri campi: battemmo il Foggia, ma Genoa-Milan e Roma-Udinese non ci furono favorevoli.

Parallelo con oggi? "Quelli erano proprio altri tempi, un altro calcio, parliamo di più di 30 anni fa. Sicuramente anche allora avevamo una squadra con gente forte, con tanta qualità offensiva. Ma retrocedemmo. I Cecchi Gori, dopo quella rovinosa caduta, fecero restare quasi tutti i big e l'anno successivo risalimmo immediatamente. Con Claudio Ranieri allenatore. I Cecchi Gori sono stati dei grandi dirigenti. Perché hanno veramente voluto bene alla Fiorentina. E voglio ricordarli e salutare Vittorio con grande piacere".

Commisso lontano? "La sua non presenza non aiuta. Sappiamo che ha subito un intervento. Oggi non c'è più un suo rappresentante diretto. La sua voce potrebbe essere fondamentale. Se non viene a Firenze vuol dire che la situazione è più seria di quanto si possa pensare".

Perché la Fiorentina è ultima? "C'è un evidente blocco psicologico. Dopo il gol preso bisogna reagire, provare a reagire subito. I ragazzi devono sbloccarsi con una vittoria. E ritrovare l'entusiasmo. I calciatori devono avere gli stimoli e sentirsi protagonisti. Devono lavorare nel gruppo, ma con personalità. Devono sentirsi tutti trascinatori, pure quelli che stanno in panchina senza giocare. I protagonisti sono loro, in campo vanno loro. Se hanno paura vuol dire che lo spessore non è elevato".

Preoccupazione? "Sì. Siamo ultimi. Noi e il Verona. La situazione è abbastanza pericolosa. Ma ci sono ancora sei partite del girone d'andata e tutto il girone di ritorno. Il tempo c'è. I calciatori li abbiamo. Ma lo stadio deve essere vicino alla squadra. Ben venga questo patto fatto a Bergamo. Squadra e tifosi devono essere un corpo unico, coeso verso l'obiettivo".