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Palladino come Lippi e Bearzot: non sempre la meritocrazia riporta alla vittoria

Raffaele Palladino, Fabiano Parisi
Gioca chi se lo merita? Sì, ma occhio anche a chi è più forte (soprattutto in casi particolari come quello di Inter-Fiorentina)
Federico Targetti
Federico Targetti Caporedattore 

Avete mai sentito parlare della sindrome di Bearzot? Se siete lettori attenti di Violanews al mattino, l'avete trovata una manciata di ore fa a fonte Repubblica, in un bel pezzo di Stefano Cappellini che si domandava se Palladino facesse bene a pensare di confermare la formazione che giovedì scorso ha sorpreso l'Inter travolgendola al Franchi pur in totale emergenza. Ora, questa curiosa locuzione si riferisce a quando l'Italia vinse i Mondiali nel 1982: Enzo Bearzot, il ct, fu talmente riconoscente ai suoi giocatori che li riconfermò tutti per le qualificazioni a Euro '84 nonostante molti di essi fossero a fine corsa. Risultato? Italia subito eliminata.

Lo stesso è avvenuto con Marcello Lippi da Germania 2006 a Sudafrica 2010, ma anche con l'Inter post Triplete, anche se nel caso dei nerazzurri fu un errore di gestione della società più che dell'allenatore, visto che Mourinho se ne andò dopo le tre vittorie. Nel caso di Palladino non si parla di trofei (magari un giorno...), ma di una singola partita, ancorché eroica. "Io do molta importanza alla meritocrazia, mi sentivo di riproporre gli stessi ragazzi e sono soddisfatto", ha dichiarato il tecnico viola.


Il ragionamento fila e il gruppo sicuramente beneficia di questa considerazione per chi si comporta bene in campo. Però ci permettiamo di avanzare un'osservazione, con la solita umiltà di chi, senza qualifiche tecniche, si rivolge idealmente ad un allenatore di Serie A. Chi è rimasto a sedere - Fagioli, Folorunsho, Zaniolo in particolare - non ha demeritato rispetto agli altri giovedì, semplicemente perché non era possibile giocare per via del regolamento. Le scelte di Fiorentina-Inter sono state obbligate, non dettate da questioni tecniche. Per questo la meritocrazia, corretta in generale, in questo caso, specie affrontando lo stesso avversario a distanza di poco tempo, poteva tranquillamente andare a farsi benedire. 

Era impossibile che l'Inter scivolasse sulla stessa identica buccia di banana a nemmeno una settimana di distanza dal tonfo più fragoroso degli ultimi anni: allora perché non provare fin da subito ad aggiungere qualcosa? Anche avessimo torto, il che è probabile: una volta chiuso sull'1-1 il primo tempo - in cui la Fiorentina è stata semplicemente presa a pallonate, con un gol viziato da pallone uscito sul calcio d'angolo, due pali e svariate occasioni a fronte di un tiro in porta di Richardson e l'episodio del rigore di Mandragora) - serviva cambiare subito. Dal 62' in poi, i viola hanno preso campo grazie alle sostituzioni: Fagioli ha messo subito Kean in condizione di essere pericoloso. Folorunsho per Parisi ha cambiato volto alla fascia sinistra e Zaniolo anche solo con la sua presenza ha dato un volto offensivo alla squadra (da rivedere poi nei meccanismi con Dodò).

La meritocrazia è una gran cosa, ma come tante altre grandi cose non deve, almeno non dovrebbe secondo noi, diventare un dogma. Palladino dice di non essere talebano e ha ragione, non lo è: non lo diventi su questo particolare aspetto.

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