LEGGI ANCHE
Il tentativo dell'esperanto
—Non è per nulla semplice: se volessimo vedere i vari moduli come se fossero lingue, quella di essere un poliglotta calcistico è prerogativa di pochissimi geni di questo sport. Quel che sta facendo Palladino è tentare di insegnare a tutti una sorta di "esperanto", la lingua comune europea composta da tratti semplificati dei vari idiomi che alla fine dell'Ottocento è stata proposta per eliminare tutte le barriere tra popoli. Non è andata benissimo, visto che a più di un secolo di distanza nessuno la parla, ma qui si tratta di intervenire su un campo da calcio e non sull'intera popolazione mondiale. Il vocabolario, la grammatica e la sintassi del calcio non sono sconfinati come quelli delle lingue, conoscerli tutti per interpretarli in certi frangenti si può, tenendone uno o due come base; inoltre, non avendo tra le mani una nazionale, l'ex Monza può lavorare fino allo sfinimento sull'elasticità che va ricercando, e non è costretto a perfezionare questo o quello spartito come invece deve fare Spalletti con l'Italia; ultimo ma non ultimo, Rocco Commisso ha la pazienza necessaria per consentire a questo seme di fiorire e fruttare. Il rischio? Che invece dell'esperanto si venga a creare quello che si legge nell'episodio biblico della torre di Babele (cfr Gen. 11, 1-9): di colpo ognuno parla la sua lingua, nessuno si capisce con il prossimo e la costruzione rimane incompiuta. "Non mi piacciono le vie di mezzo", ha detto parlando del coraggio chiesto alla squadra all'intervallo contro la Lazio: no, l'ambizione, quella che è stata designata come parola d'ordine a giugno, non manca di certo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA