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«Programmare lo scudetto è difficile, si arriva a vincerlo per tanti fattori».
- Quali sono?
«Prima di tutto la stampa. Sarò un fissato ma la penso così. Io al primo posto metto la stampa. Per avere una grossa squadra occorre una stampa che la sostenga. E la stampa la sostiene dietro a un lavoro dei presidenti e di chi se ne occupa».
- E la sua Fiorentina...
«Adesso ha una bella squadra, ma non ha più la stampa dei miei tempi. Di recente ho visto sul "Corriere della Sera" un Fiorentina-Genoa relegata in fondo alla pagina con un titoletto a tre colonne».
- Lei veniva in redazione a farci i titoli...
«Ma andavo anche da Gualtiero Zanetti e da Gianni Brera e con loro, come con Alberto Rognoni, sono sempre in ottimi rapporti. Mi sono allontanato dal calcio ma mi sono rimasti gli amici che il calcio mi aveva procurato».
- Dicevamo dello scudetto...
«Per arrivarci occorre l'appoggio della stampa che conta. E posso dire d'aver cominciato a costruire la Fiorentina da scudetto con i giornalisti di Milano».
- A Firenze la contestavano anche per questo...
«Lo so, Giordano Goggioli è un amico (e mai siamo stati amici come adesso che anche lui è andato in pensione e ha lasciato "La Nazione" ai giovani). Ma allora non lo trattavo da "padrino" e aveva l'impressione di essere snobbato, Ma anche adesso, se voglio sapere cosa è successo in Italia e nel mondo, piglio il "Corriere". Goggioli aveva le sue idee, io le mie, ci siamo sempre comportati come due spadaccini, ma devo dire che questo non ha mai incrinato la nostra amicizia, che è sempre stata sincera».
- Dopo l'appoggio della stampa nazionale, per diventare campioni d'Italia cosa occorre?
« Occorre un grande portiere nell'annata felice. Se non hai un portiere eccezionale, sei fregato. Il portiere deve essere in forma per tutto il campionato. Basta che sbagli un paio di partite per rovinare tutto».
- E l'allenatore?
«Lo metto al terzo posto. E' importante pure lui, perché certo influisce nella conquista dello scudetto, come influisce se la squadra va in B. Per diventare campioni d'Italia occorre l'allenatore vincente e noi lo pigliammo: Pesaola. Era l'allenatore giusto al momento giusto. Arrivava dopo l'ottimo lavoro di Bassi e di Ferrerò e in precedenza di Chiappella. Pesaola è un vincente, è uno che anche nella vita rischia ».
- Nella vita, rischiando, ha preso anche grosse fregature...
« Ma si vede che a Firenze siamo stati noi a portargli fortuna. Però il rischio è necessario. Liedholm, ad esempio, non vincerà mai uno scudetto (e non l'ha vinto nemmeno a Firenze) perché è uno che preferisce non perdere. E per arrivare allo scudetto bisogna anche vincere, occorre rischiare. Pesaola era la persona giusta».
- La stampa, il portiere, l'allenatore. Basta così?
«Magari! Occorre anche una situazione ambientale favorevole ed è necessaria pure la fortuna. Lo dissi subito dopo aver vinto lo scudetto. Se un pallone picchia il palo e torna in campo è sfortuna. Se invece rimbalza sul legno e va in porta non è fortuna, è gol, serve per vincere, rimane nella classifica».
- Lei fu considerato un presidente dittatore. Ritiene che questa sia la formula giusta?
«Certo. Non si può coinvolgere troppe persone nella scelta delle decisioni. Vengono fuori troppe voci, che finiscono per disturbare il lavoro. Quando vincemmo lo scudetto a Firenze eravamo in cinque, era il numero giusto, non bisognava nemmeno fare il Consiglio. Bastava un fischio per trovarci».
- Cos'è cambiato nel calcio dai suoi tempi ad oggi?
«E' cambiato tutto: scarpe, pallone, cervelli. Il gioco è progredito sotto l'aspetto dello spettacolo nel senso che è migliorato come velocità e precisione. Però non si vede più quel sano agonismo provinciale, è diminuito lo spirito di bandiera».
- Lei in Lega si era sempre battuto contro gli stranieri. E' ancora della stessa idea?
«Allora era necessario proteggere i nostri giovani, perché stavano spuntando tanti Chiarugi e perché dall'estero arrivavano solenni bidoni. Ora è diverso. Basti considerare che migliori in campo risultano sempre gli ultra trentenni, da Albertosi a Mazzola. A questo punto gli stranieri, sarebbero necessari».
- La Fiorentina dopo di lei ha ceduto De Sisti, lei l'avrebbe fatto?
«Mai. Perché De Sisti oltre ad essere in gamba (ancor oggi mi diverto a vederlo in TV con la Roma e ì suoi passaggi sono sempre perfetti) è un elemento catalizzatore, fa giocare gli altri. Esposito e Merlo, era lui a farli correre».
- Il suo giudizio su Merlo?
«Anche se qualcuno lo considerava un doppione, Merlo è diverso da De Sisti. Ha più fantasia, ma non è un uomo-squadra. De Sisti, invece, quando arrivò da Roma giovanissimo era già un regista, teneva uniti tutti i compagni».
- E Antognoni?
«Non è un De Sisti. Nella Fiorentina di Antognoni risaltano più certi valori individuali, De Sisti invece riusciva ad aumentare il livello di tutti gli altri».
- Eppure per Antognoni hanno offerto tre miliardi, ma Ugolini non lo dà perché dice che è come il Campanile di Giotto e appartiene alla città di Firenze. Lei nei panni del suo successore cosa farebbe?
«Io Antognoni per tre miliardi lo darei».
- Lei aveva propugnato la linea-verde. E anche la Fiorentina attuale segue questa linea. Si può considerare dunque continuazione di un discorso iniziato all'epoca dello scudetto?
« No, la mia Fiorentina-baby era diversa. Noi i giovani li lanciavamo per convinzione, adesso Mazzone li lancia invece per necessità. I giovani bisogna immetterli in squadra a turno, per potersi rendere conto del loro valore. Adesso a Firenze li fanno giocare quando non ci sono altre soluzioni, è diverso ».
- Secondo lei Mazzone è un allenatore da Fiorentina?
«L'ho conosciuto, è un uomo di notevole qualità. Ma ha l'handicap di arrivare da Ascoli Piceno. Non è che Firenze rispetto a Torino, Milano e Roma sia una grande città, però non è una città di provincia. Mazzone ha commesso l'errore di portare a Firenze giocatori di provincia (come Gola e Bertarelli) convinto che avrebbero reso come là. Non si è reso conto delle diverse condizioni ambientali. Ad Ascoli tutta la squadra giocava per Gola e Bertarelli, a Firenze dovrebbero essere loro a giocare per la squadra».
- Cosa manca a questa Fiorentina?
«Manca un rapinatore di gol che sfrutti l'ultimo passaggio di Antognoni. Basterebbero un Hamrin, un Clerici o un Maraschi dei miei tempi. Antognoni passa la palla-gol, ma a chi?».
- Secondo lei perché Rocco non si era ambientato a Firenze?
«Perché è difficile ambientarsi a Firenze per uno che è stato tanti anni a Milano».
- Lei avrebbe mandato via Radice?
«No, perché dei giovani era quello più adatto a costruire la Fiorentina da scudetto. Il suo divorzio non l'ho capito. Forse si è dato retta a certi pettegolezzi che ho sentito anche io, ma i dirigenti non dovrebbero mai dar retta ai pettegolezzi. Senza contare che uno può benissimo essere un grande playboy e al tempo stesso svolgere nel migliore dei modi il suo lavoro di allenatore. Che c'entra?».
- Come vede la strana coppia Bernardini - Bearzot in Nazionale?
«Io sono un estimatore di Bernardini. L'età non conta, conta solo lo spirito. Sarebbe bastato affiancargli un Bassi della situazione. Non si può essere in due a prendere certe decisioni».
- Lei aveva grande fiducia in Bassi...
«Come preparatore è formidabile, inoltre si schiera sempre dalla parte dei giocatori. Però ha dei limiti diciamo così, sul piano culturale».
- Lei l'aveva preferito a Herrera..
« No, poi accettai di sostituirlo con Pesaola. Mi opposi all'ingaggio di Herrera, perché secondo me H.H., abituato a "drogare" i giocatori con grossi premi, era un allenatore da grande squadra. Non avrebbe potuto guidare la Fiorentina con i sistemi dell'Inter».
- Come ricorda Pugliese Oronzo?
«Un uomo da trincea, un buon contadino, che ci è venuto utile al momento opportuno».
- Come spiega che la Fiorentina non ha catturato Valcareggi, quando Valcareggi ha lasciato la Nazionale?
«Non me lo spiego. Per me Ferruccio era l'allenatore adatto per il rilancio della Fiorentina. E non lo dico per amicizia, ma perché lo penso veramente. E' uno che di calcio se ne intende, e nessuno ora ha la sua esperienza».
- Lei aveva creato vivai in tutta la Toscana. Come mai la Fiorentina ha poi abbandonato questa politica?
«Non lo so, perché i frutti erano stati buoni».
- Con lei, la società aveva anche una rivista, «Alè Fiorentina»...
«Ma quella la faceva Senatori, che ora è passato al Prato e fa quindi "Alè Prato". Se ne è andato anche Ristori: pure lui era un elemento prezioso».
- Con don Vincenzo Sabatini per il settore giovanile litigavate spesso...
«Perché mi accusavano di essere un dittatore. Io lo lasciavo dire, ma poi facevo sempre di testa mia».
- Non è strano che nella Fiorentina giochi anche il genero del presidente?
«No, Della Martira è un ragazzo modello. Gioca perché se lo merita. E Ugolini non condiziona certo Mazzone».
- Ora si dice che Ugolini lascerà al conte Pontello...
«Non è la prima volta che il conte Pontello si fa avanti. Ma secondo me esamina troppo i libri contabili. Non si può prendere una società con la mentalità dei ragionieri, ci vuole sempre un certo rischio».
- E' servita secondo lei la trasformazione in SpA?
«Certo. Le responsabilità fiscali con conseguenza anche di ordine penale, servono da freno, per non eccedere. So che nessuno è in regola anche adesso, figuriamoci cosa sarebbe successo se non ci fossero le SpA».
- Ai suoi tempi si amministrava anche con i fondi neri...
«Si sapeva che le società non avevano fini di lucro e quindi la Finanza guardava con occhio benevolo i nostri libri contabili. Ma non è che i giocatori fossero trattati particolarmente bene.
Solo volevano i soldi al netto delle tasse. E quindi le tasse dovevano pagargliele le società. Questo però avveniva solo per i grossi calibri: Hamrin, Albertosi ecc.».
- Come giudica i guadagni attuali dei giocatori?
«Esagerati. Anche se c'è stata un'inflazione del 100 per cento, gli stipendi dei giocatori rispetto ai miei tempi sono triplicati. Sono aumentati più delle patate che importiamo dalla Svizzera».
- Chi le ha dato più grattacapi per il reingaggio?
«Nicea Tavares De Silveira, che veniva a trattare per il fratello Amarildo. Ma io non potevo sopportarla nemmeno fisicamente e così la smistavo subito all'amico Senatori ».
- Ora i calciatori parlano di autogestione. Rivera e Mazzola dicono di voler seguire le orme di Boniperti.
«Ma Boniperti è diventato presidente della Juventus perché era un funzionario IFI. E Agnelli l'aveva inserito nell'azienda perché aveva le qualità del manager non perché aveva giocato al pallone. Se i giocatori sono così bravi come dirigenti d'azienda alla fine della carriera si creino un'industria propria oppure facciano gli ex giocatori. Se proprio vogliono rimanere nel calcio facciano gli allenatori o i direttori sportivi. E' assurdo che Fraizzoli lasci amministrare i suoi soldi da Mazzola. Io i miei soldi li voglio amministrare con il mio cervello».
- Nel suo ufficio ha tanti ricordi della Fiorentina: bandiere, foto, scudetto. Non ha qualche rimpianto?
«I sette anni del calcio sono stati i sette anni più belli della mia vita. Ho raccolto i ritagli di quell'epoca in un volume e ogni tanto Io sfoglio con nostalgia. Ma è un ciclo che ormai si è chiuso.
Adesso vado in Indonesia...».
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