Uno dei quali ha come protagonista Albert Gudmundsson. Nota deludente fin qui? No, non esageriamo con le parole. Anche perché l’infortunio patito a Lecce ha minato il suo rendimento. Non c’è dubbio, però, che tifosi e società si aspettassero (e si aspettino) di più dall’islandese. Contro l’Udinese è subentrato a Beltran all’62'. Gli ci sono voluti ben diciannove minuti per toccare il primo pallone della gara. Sintomatico di come l’ex Genoa si estranei troppo dalle partite (e non solo contro i friulani). Uno con le sue qualità non deve nascondersi, bensì stare al centro del gioco. Contro l’Udinese ha regnato l’anarchia tattica perché, oltre a non incidere, non è mai riuscito a trovare la giusta posizione in campo e a duettare con Kean e gli altri colleghi del reparto avanzato (attenzione: non stiamo scrivendo che Gudmundsson è il solo ed unico responsabile del ko contro i bianconeri).
Impossibile, allora, non sottolineare le parole di Raffaele Palladino nel post partita: “Le occasioni per far male le creiamo, ma bisogna alzare il livello, la qualità. Bisogna avere più altruismo, l’ho detto ai ragazzi. Se uno è messo meglio, deve ricevere la palla”.
Sembra di averle già sentite, queste parole. Anzi, togliamo il “sembra”. Virgolettati leggermente diversi, così come il suo autore. 29 settembre, post Empoli-Fiorentina 0-0. “Cosa è mancato? Di giocare uno per l’altro. Se io o un altro facciamo gol non fa differenza, abbiamo giocato poco insieme (…). A volte siamo arrivati davanti e abbiamo fatto scelte troppo individualiste”. Firmato: Christian Kouamé, capitano allo stadio Castellani. Dichiarazioni, le sue, che fecero scalpore.
E’ vero, l’attuale è il miglior attacco della Fiorentina degli ultimi 65 anni (i numeri parlano chiaro e, si sa, i numeri non sono un’opinione). Una domanda tattica, tuttavia, sorge spontanea alla luce di quanto sopra esposto: c’è qualcosa che non va nel fronte offensivo viola?
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