E poi, anzi prima di tutto, c'è il fattore Kean. Come si spiega questo suo exploit stagionale?
"Kean è meraviglioso: empatico, trascinante. L’attaccante in stato di grazia è personaggio della letteratura mitica. È un eroe capace di raddrizzare i torti, risolvere i problemi, vincere le sfide difficili. È successo perché Moise è un uomo all’incrocio perfetto: Firenze aveva bisogno del centravanti, di un ruolo simbolico nell’immaginario e decisivo nella competitività. Lui aveva bisogno di una squadra che gli consegnasse una maglia, lo proteggesse. Palladino con lui ha costruito un rapporto virtuoso, ha raccolto il meglio di un talento disperso, ha costruito un centravanti e un professionista migliore. Gli ha liberato la testa e il campo. E sa che un centravanti così, che si esalta nel duello western col difensore, può permettergli una copertura maggiore in alcuni momenti, perché Kean sa giocare spalle alla porta, sa elevarsi nella lotta solitaria, sa infervorare la partita statica. Si tratta di un acquisto che gratifica chi lo ha fatto, e un rendimento che valuta anche chi lo allena".
A questo punto serve forse un'ulteriore crescita dagli attaccanti che ruotano intorno a Kean?
"La disponibilità “fisica” di Gudmunsson permette di avere per Beltran un ruolo più sintetico e più giusto per il suo valore. In generale, intorno a Kean c’è una gerarchia adesso logica: Gud, poi Beltran, poi Zaniolo. Ma questi tre giocatori devono portare tiri, strappi, giocate decisive fra la trequarti e la porta. Devono dare tecnica alla zona di campo, e dare le statistiche che gli esterni d’attacco in questi ultimi anni non portavano. Adesso ognuno di loro è in uno schema che li mette a proprio agio, con un compagno di reparto che devasta le difese, creando opportunità e spazi".
Parliamo di Palladino, tre settimane fa era a rischio esonero ma tu eri fiducioso che potesse trovare la quadra: è andata così!
"Spesso, la ricerca di capri espiatori è solo un’astuta fuga dalle proprie responsabilità. L’allenatore è la figura perfetta, è una riduzione ideale del problema. La sconfitta (la delusione) è sempre più insopportabile in quest’epoca. E siccome il nemico affratella più del pane, quello serve. Con presunzione e cinismo valutiamo gli altri, distruggendo un confine fondamentale che è il senso della misura. Chi vive il calcio però sa che è la regola del gioco. Subisce l’esagerazione di un mondo dove quelle esagerazioni (va detto) sono anche monetizzate. E poi voglio dire un'altra cosa..."
Prego...
"Ho letto che ieri Palladino è arrivato a 100 panchina in serie A, il più giovane della sua generazione a riuscirci. La precocità testimonia di solito due cose: talento e al tempo stesso necessità di fare esperienza. Questa stagione si è misurato con due situazioni “probanti”: gli obiettivi di una piazza importante, storica, e la crisi che poteva fargli conoscere l’amarezza del fallimento professionale. Le esperienze crescono le persone. Ne sono usciti insieme, con la squadra, e questo è un punto di forza che condividono e che vale molto. Credo che per lui siano state settimane intense e indimenticabili. Io percepisco un uomo fortemente attaccato al lavoro, che ha cercato soluzioni, passando attraverso errori e intuizioni, che era dispiaciuto per le prestazioni modeste. In generale, io credo che il lavoro meriti sempre rispetto, e il talento merita quella particolare forma d’attesa che è la fiducia".
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