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Passano anni e allenatori ma il virus è lo stesso: se non si cura quello la malattia resta

Passano anni e allenatori ma il virus è lo stesso: se non si cura quello la malattia resta - immagine 1
Tanti indizi fanno una prova: è lo stesso virus che aveva colpito l'Inter negli anni Novanta e nei primi del Duemila
Matteo Magrini

Purtroppo, era tutto molto prevedibile. Questione di tempo, e poi saremmo arrivati (di nuovo) a questo punto. Perché nella Fiorentina di Rocco Commisso i problemi sono sempre gli stessi. Anno dopo anno, stagione dopo stagione, allenatore dopo allenatore. E sia ben chiaro: non valgono tre anni fatti bene con e grazie a Vincenzo Italiano (a proposito, un grande abbraccio al mister) o una stagione (criticabile quanto vogliamo, e lo dice chi è stato tra i più critici) comunque chiusa col sesto posto e con 65 punti con Raffaele Palladino a mascherare un virus che è sempre rimasto lì. A volte latente, altre più “violento” e manifesto, ma sempre tremendamente velenoso, dannoso e cattivo. Lo stesso, tanto per fare un paragone che sia il più possibile chiaro a tutti, che per anni ha circolato indisturbato alla Pinetina. Era l'Inter degli anni '90 e dei primi anni 2000 e a legger o ascoltare le cronache e le voci che uscivano da lì c'era di che farne un romanzo. E guarda un po'. Finché quel “male” non fu estirpato (da Mourinho) i nerazzurri hanno continuato a spendere e spandere senza (anni immediatamente post calciopoli a parte, con la concorrenza azzerata) vincer nulla. Vi ricorda qualcosa?

Il cortocircuito di Pradè

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La domanda è retorica, e la risposta sconsolante. E così veniamo alle scene a cui stiamo assistendo in questi giorni. Un direttore sportivo che da anni è l'unico a presentarsi nei post partita difficili e ad assumersi qualche responsabilità (qualcuno ricorda interviste post sconfitte di chi è stato o è attualmente direttore generale?) ma che pur compiendo un atto coraggioso e meritevoli di applausi se paragonati alla latitanza altrui si autoaccusa per il mercato scaricando, di fatto, i giocatori da lui stesso acquistati. O pensate che ai vari Piccoli, Nicolussi, Fazzini, Sohm e compagnia possa aver fatto piacere sentire un direttore ammettere di essere da cacciare per aver speso male 92 milioni? Lo stesso Pradè (ripeto, tanto rispetto per essersi almeno esposto) che minaccia dimissioni che a casa mia, ma avrò sicuramente ricevuto un'educazione sbagliata, si danno, non si minacciano. E poi le comprensibili accuse all'arbitro, omettendo però di avere alle spalle un pareggio (a Pisa) gentile “omaggio” della stessa classe arbitrale. Passa qualche ora, e dopo la solita fuffa del “tutti insieme, tutti uniti, tutti a pranzo al Viola Park”, ecco uscire le voci dallo spogliatoio.

Spogliatoio

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Raccontano di un confronto nel quale alcuni “senatori” (gli stessi che in campo si squagliano alla prima mezza difficoltà...) avrebbero chiesto a Pioli di cambiare modulo e/o soprattutto atteggiamento tattico ricavandone un secco rifiuto che li avrebbe delusi. Senza mettere in dubbio indiscrezioni altrui (e ci mancherebbe) mi limito a segnalare che la Fiorentina vista a San Siro non è certo quella coraggiosa, con la linea della pressione alta, piena di giocatori offensivi e con la voglia di attaccare la profondità il più velocemente possibile che aveva pensato e presentato il mister inizialmente. Anzi. Semmai, visto che tanto  è lì che qualcuno vorrebbe tornare, è stata una Fiorentina più simile a quella di Palladino: Kean abbandonato a se stesso, e tanta tanta prudenza. Il punto però è un altro. Da dove arrivano certi spifferi? Da qualche giocatore o magari da qualche dirigente che magari si sente trascurato e che pensa bene di prendersi così la sua “rivincita”? E chi dovrebbe prendere in mano la situazione, evitando che certa roba vada a minare le fondamenta (vere) di un gruppo di lavoro?

Il mister insomma avrà (anzi ha) sicuramente le sue responsabilità ma non è e non sarà mai quello il vero problema. Vale per Pioli, come valeva per Italiano (c'era chi dal club diceva che avesse rose da Champions e che i giocatori non fossero valorizzati) e per Palladino il quale (con tutti i suoi limiti) non è stato certo aiutato o supportato come un quasi esordiente avrebbe meritato. Si torna lì: all'uomo solo. E pazienza se a qualcuno questo concetto non torna o da fastidio. E pazienza se a parole e con qualche comportamento ci si mostra al fianco dell'allenatore. Non è quello, il nodo. Il nodo è avere una struttura societaria degna di questo nome. Uomini che in assenza del presidente (ribadiamo per l'ennesima volta, non gliene si può fare una colpa e nessuno lo accusa di nulla in questo momento) abbiano peso, esperienza, capacità e piglio sullo spogliatoio per imporre se stessi e la forza della società. “Ci mettono tutti la loro” vita, dicono dal Viola Park. Pensa te se nemmeno si impegnassero, potremmo rispondergli...