L’arbitro è il soggetto. Tocca a lui decidere. Oggi ha molti strumenti a disposizione ma il suo compito è sempre il solito: fare da garante. Se abdica a questa funzione tutto il resto è come la trippa...
Gli inizi
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Il regolamento del gioco del calcio aveva poche regole ma alcuni princìpi. Nel 1863 nella Freemasons Tavern di Londra vennero messe per iscritto e diventarono la base di tutto. Poi nel tempo a fianco del regolamento apparve la “casistica” che era un modo per spiegare meglio quei 17 articoli. Tutto semplice, facile da capire ciò che si poteva o non poteva fare. Il punto fondamentale era: in campo comanda l’arbitro. Come diceva Boskov: rigore è se arbitro fischia. Certo affidare tutto a due occhi era rischioso ma era accettato da tutti, più o meno. L’arbitro era sempre al centro delle polemiche ma spesso diventava il capro espiatorio di colpe altrui. In qualche modo faceva comodo a tutti. Il principio era: le squadre si confrontano, l’arbitro è là come garante delle regole.
Arriva la tecnologia
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L’avvento della tecnologia fu vista come una minaccia. Nacque la moviola che svelava a posteriori gli errori arbitrali. Ma Concetto Lo Bello sparigliò accettando di andare alla Domenica Sportiva e di commentare la Moviola, riconoscendo un proprio errore. Il futuro, si sa, corre veloce diventando presente quando meno te lo aspetti. Così la terna diventò un gruppo: si aggiunse il quarto ufficiale. Oggi, però, siamo oltre ci sono anche il Var (Video Assistant Referee) e l’Avar (Assistant Var) che muniti di microfono e cuffie, seduti comodamente negli studi di Lissone, hanno monitor e riprese al rallentatore con cui pensano di vedere tutto. Una sorta di “guardoni”. Senza dimenticare che c’è anche la GLT (goal line tecnology) una spia elettronica che rileva se la palla è dentro o fuori la linea di porta. Insomma roba che farebbe impallidire la Nasa.
Nonostante tutto ciò le polemiche imperversano come mai prima d’ora. Il vero problema è la televisione. Le immagini, anche le migliori, non fanno capire la prospettiva. Non si colgono bene le distanze tra un piede e l’altro. Inoltre le immagini al rallentatore non mettono in risalto la volontarietà e l'intensità di un gesto. Sono concetti chiari che solo l’arbitro in campo può valutare. Lo stesso discorso riguarda le sbracciate che oggi vengono punite con severità come fossero dei reati.
E le simulazioni?
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Allo stesso tempo non si rilevano più le simulazioni che, a norma di regolamento, dovrebbero essere punite come condotta antisportiva. I giocatori appena dopo un contatto si rotolano in terra disperati e urlanti, salvo poi rialzarsi come se niente fosse, nell’indifferenza generale. Non parliamo poi del fuorigioco. La regola nasceva per scoraggiare chi volesse approfittare della distrazione avversaria, guadagnandosi uno spazio di vantaggio. Oggi non è più così. E’ fuorigioco chi, sia per un naso o una spalla, risulta oltre la linea degli avversari. Ma essere più avanti di un naso che vantaggio ti può dare?
E poi, quando interviene il Var?
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La domanda ricorrente è quando può intervenire il Var? La tecnologia è uno strumento ed è a disposizione dell’arbitro che deve decidere quando valersene. Gino Menicucci, grande arbitro e personaggio indimenticabile, sosteneva che alla sua epoca nelle situazioni più intricate l’arbitro poteva fischiare i “falli di confusione”. In un area affollata dove volano spintoni e pestoni, sicuramente tutti si sentono in colpa. Il fischio dell’arbitro era quasi salvifico. L’arbitro è il soggetto. Tocca a lui decidere. Oggi ha molti strumenti a disposizione ma il suo compito è sempre il solito: fare da garante. Se abdica a questa funzione tutto il resto è come la trippa, ognuno la tira dalla sua parte.