È un tempo breve per concludere con certezza, ma è un tempo serio e importante, forse nuovo. La Fiorentina è uscita da una fase che non le si addiceva, una secchezza di gioco, un regresso di bellezza dovuto a intenzioni che non sfogavano, creando una recessione delle ambizioni e della possibilità e il solito riflesso delle critiche esasperate. E in questi tempi di obsolescenza programmata (tema che fu del primo pezzo per Violanews) - anzi “obsolescenza provocata” - dove tutto invecchia in fretta, come vestiti consumati dalla moda prima che dall’uso, come giocattoli desiderati e subito accantonati per averne di nuovi, anche questi uomini erano stati sdruciti senza riguardo (i dubbi su Bonaventura….), anche i migliori protagonisti di questi anni recenti, di queste partite importanti, di queste soddisfazioni “di risulta” rispetto alla storia viola, ma pur sempre crescenti rispetto al penoso triennio che ha preceduto l’arrivo di Italiano, anche lui sempre giudicato, esaltato, vilipeso: come se la critica si potesse esprimere solo sentenziando, quando invece è anzitutto analisi, accumulo, costruzione e confutazione continua di un giudizio che deve sempre tener conto anche dell’altrui lavoro, e non solo della sconfinata presunzione di chi esiste solo polemizzando.
Chiedere alla passione la calma è negarle la ragione ma intossicarsi da soli non è sano e nemmeno naturale, siamo da millenni impegnati nella conservazione e ripetizione della specie. Siccome il tifo è vita, dovremmo tenerci molto, curarlo di pazienza e affetto. Siamo alle solite (è un tema che ritorna, che sento decisivo): la manifestazione del pensiero pare essere ormai sovrapposta alla polemica. Solo l’opinione contraria, puntuta, insinuante sembra aver rango costituzionale (difesa della libertà). È un odioso e forsennato e disonesto discorso che riduce alla verità ogni cosa vada in opposizione. Sono tempi un po’ fanatici, ma si va avanti, si fa il fuoco con la legna che c’è. Dunque dicevamo: il centravanti c’è. Nico c’è (per metà, ma l’importante è che fiorisca a Primavera), Jack c’è e Barak lo può surrogare. Beltran può diventare l’uomo in più. Serve Arthur perché la palla viaggia meglio, se passa da lì. Sottil con la Roma ha giocato la sua partita più credibile in maglia viola. Dodò può aggiungere coraggio e giocate decisive. Se stanno tutti bene, insieme, questi sessanta giorni forse li ricorderemo ma non è ottimismo sperarlo: è semplice fiducia negli uomini per come li abbiamo conosciuti, per quello che hanno dato e per quanto possono dare: ma è sport, bisogna pretendere serietà, impegno, senso di appartenenza, e convivere con la mancanza di valori assoluti e l’instabilità di una bellissima disciplina che misura: in centimetri, secondi, gol, e ogni volta ricomincia da capo.
Ancora tre impulsi, sguardi caduti nelle cose di questi giorni: lo stadio dell’Atletico è qualcosa di meraviglioso, senza tempo, magico, indelebile. Quanto è fondamentale una compattezza ambientale, una sentimento comune per ribaltare una partita e un destino. Dirlo è semplice, ammirarlo è dovuto, costruire e difendere quest’unità è tutt’altra cosa.
Poi: lo stato del calcio italiano (gratificato oltremisura dal ranking europeo) è invero penoso, scurrile, sguaiato: allenatori che risolvono il nervosismo a minacce o testate, giocatori simulatori e felloni, che ammutinano per togliersi di mezzo un tecnico sgradito, una dozzina di presidenti che navigano con debiti da fallimento (e bisognerebbe avere più rispetto per chi invece gestisce in modo serio i conti), altri che aggrediscono cameraman e pretendono di scegliersi i giornalisti, violando le regole che sottoscrivono di disponibilità (pagata) per le interviste. Qualche inchiesta ogni tanto per ricordarci che chiedere autonomia e meritarsela sono concetti distanti, un presidente Federale coinvolto in un regolamento di conti interno con un presidente di club, e che comunque nell’ultimo giorno del precedente mandato impegna una Lega a una spesa pluriennale, per compiacere un amico che poi gli avrebbe elargito una caparra per un affare mai concluso (che credibilità ha un uomo così, che occupa una carica così delicata?).
Ma l’ultima occhiata è piacevole: contro la Roma la Fiorentina aveva in campo tre giocatori cresciuti (o compiuti) nel settore giovanile: Kayode, Ranieri, Sottil. Un pezzo di squadra deve essere fatta in casa, è bello, è importante, crea un senso, lascia più spazio agli investimenti dove servono.
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