Vorresti ringraziare qualcuno per questo premio?
—Una persona sola è difficile, sono grato alla mia famiglia, alla mia ragazza e a tutti i miei compagni. Devo ringraziare anche Vincenzo Italiano; sono arrivato in prima squadra a 19 anni dopo l'Europeo vinto. Il giorno dell'esordio ho scoperto che avrei giocato 40 minuti prima dell'inizio, eravamo a Marassi, lo stadio era una bolgia ma alla fine è andata bene.
La Juventus decise di non scommettere su di te, come l'hai presa all'epoca?
—Inizialmente non benissimo, ma dopo 7 anni trascorsi nello stesso contesto è normale. Col tempo ho iniziato a viverla come una sfida, mi ha dato la per arrivare dove sono adesso. Il premio di Golden Boy è una rivincita anche per questo.
Quanto ti ha aiutato l'esperienza in Serie D?
—Se sono alla Fiorentina è merito anche della stagione al Gozzano. E' stata un'esperienza fondamentale, lì ho imparato a lavorare con i grandi in un campionato in cui ogni partita pesa.
Come gestisci la pressione? Hai qualche rito scaramantico?
—Per il momento la pressione la gestisco da solo, non ho mai lavorato con un mental coach; anche se mi incuriosisce. Per stemperare la pressione cerco di concentrarmi su quello che devo fare in partita e ascolto un po' di musica, specialmente rap americano, ma non ho riti particolari. Prima delle partite però prego molto. Sono molto legato ai numeri, la 13 non potevo prenderla perché sarà sempre di Davide per questo ho scelto la 33, come gli anni di Cristo. Vista la scorsa stagione direi che non lo cambio più.
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