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GERMOGLI PH: 2 NOVEMBRE 2025 FIRENZE STADIO ARTEMIO FRANCHI SERIE A FIORENTINA VS LECCE NELLA FOTO PIOLI
La storia di Stefano Pioli a Firenze inizia da calciatore, quando arriva nel 1989 come parte della trattativa che porterà Roberto Baggio alla Juventus, una delle cessioni più dolorose nella storia viola. Difensore elegante e tecnico, ma non particolarmente aggressivo, Pioli si integra subito nello spogliatoio e diventa un punto di riferimento silenzioso in una stagione altalenante, culminata con la finale di Coppa Uefa contro la Juve. Un grave infortunio al ginocchio, però, gli spezza la carriera in ascesa, escludendolo da Italia ’90 e privandolo della Nazionale. Dopo anni difficili e persino un arresto cardiaco che fa rivivere a Firenze momenti di paura, lascia la squadra nel 1995, ma mantiene un legame profondo con la città e i tifosi.
Quel legame lo riporterà in panchina più di vent’anni dopo, dopo vari tentativi sfumati. Quando torna da allenatore, eredita una Fiorentina in fase di rifondazione e costretta all’autofinanziamento. Nonostante le difficoltà, diventa il simbolo di una città ferita dalla tragedia di Davide Astori, gestendo con umanità e forza un gruppo scosso e restituendo dignità e orgoglio alla squadra. La sua figura in quei mesi va oltre il calcio: è il condottiero che guida la Fiorentina come un capitano durante una tempesta. Anche se il sogno europeo sfuma, quel periodo resta inciso nella memoria collettiva come la più autentica espressione del “Pioli umano”, più che del Pioli tattico.
Eppure, la riconoscenza nel calcio è breve: la stagione successiva segna la rottura con la società dei Della Valle, che lo accusa di scarso impegno. Pioli risponde con dignità, dimettendosi e rinunciando a parte dello stipendio pur di non aprire contenziosi. Tre anni più tardi, vince lo scudetto con il Milan e dedica il tricolore a Davide Astori, tatuato per sempre sulla sua pelle. Da allora, tra rinunce milionarie e ritorni di entusiasmo, il suo percorso a Firenze si è chiuso amaramente, con una squadra in crisi e un ambiente che ha smesso di riconoscerlo come il simbolo di rinascita che era stato: un epilogo amaro per un uomo che aveva dato a Firenze molto più del semplice calcio. Lo scrive il Corriere Fiorentino.
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