Il commento di Benedetto Ferrara a La Nazione
Il caso della coreografia esposta in curva Ferrovia ha scatenato reazioni contrastanti. Opinioni di ogni tipo sono circolate, tra esperti, ex giocatori, filosofi e tanti altri. La coreografia non è passata inosservata, dividendo l’opinione pubblica in tre gruppi principali: gli indignati, che l’hanno giudicata una vergogna; gli innocentisti, che la considerano ormai un modo colloquiale di dire; e i critici moderati, quelli che, pur avendo riso inizialmente, alla fine hanno riconosciuto che l’ironia dovrebbe essere un’altra cosa e che forse sarebbe stato meglio evitare.
La vicenda, probabilmente, sarà studiata nei futuri corsi di antropologia culturale. Le parolacce, in fondo, sono materia di studio. E in alcuni contesti, come ad esempio il teatro, sono anche un rito scaramantico: si dice che attori e spettatori urlassero "m…a" prima di iniziare lo spettacolo, un gesto che risale al Settecento, quando il pubblico arrivava al teatro in carrozza. Così, tra il pubblico e le carrozze, si urlava quella parola.
Ora, qualcuno dirà che stiamo giustificando la coreografia. Non è così. L’intento è solo di evitare moralismi eccessivi. Del resto, gli stadi non sono il luogo ideale per insegnare il bon ton. A chi non è capitato, per esempio, di portare il proprio figlio per la prima volta allo stadio e trovarsi a dover rispondere a domande imbarazzanti? “Papà, perché quel signore sta urlando 'devi morire' a quel giocatore a terra infortunato?” La risposta può essere un po' imbarazzante: “Beh, Giacomino, non è che lo vuole davvero morto. Guarda la partita, va’.” Poi, però, è sempre meglio aggiungere: “Tu queste cose non le dire mai, sono parole brutte e sbagliate.”
Ma basta con la sociologia spicciola. Quel che rimane sono i ricordi e le emozioni legate a quelle coreografie. E, in fondo, quello che ci dispiace davvero è che la società sia stata multata. In altri casi simili non è successo nulla. La Fiorentina, in tutta questa vicenda, ha ben poco da rimproverarsi.