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Da Sportiello a Chiesa, passando per Astori: così l’italianizzazione diventa una promessa onorata

La società ne aveva fatto uno degli slogan più ripetitivi, e pur traballando ha finito con il tenergli fede: oggi, per la prima volta dopo anni, lo scheletro della Fiorentina è costituito da giocatori italiani

Simone Torricini

Era una delle premesse più care alla direzione sportiva, quella di far passare l'italianizzazione come priorità assoluta del processo di ricostruzione della rosa. Nel corso dell'estate frasi sullo stampo di questa «puntiamo a mettere insieme un gruppo solido di giocatori italiani» sono state sin dall'inizio sulla bocca di svariati addetti ai lavori, Corvino e Antognoni su tutti. E pazienza se i primi arrivi, tra brasiliani (Vitor Hugo), portoghesi (Gaspar) e serbi (Milenkovic) certificavano una tendenza ostinatamente contraria. Pazienza anche se il primo violazzurro, Benassi, è sbarcato a Firenze soltanto ad agosto inoltrato, quando era inevitabile aver perso una buona parte delle speranze già da un po'.

È stato sufficiente (o necessario, dipende dai punti di vista) attendere un po' più del previsto per osservare qualche movimento. Nomi, contatti e trattative che lasciassero credere nel mantenimento della promessa sono arrivati proprio a partire dall'ex capitano del Torino, primo di una lista che ha compreso al suo interno anche Biraghi e Lo Faso. Un gruppetto andato ad aggiungersi ad una rosa al cui interno emergevano per ragioni differenti altri quattro italiani: Sportiello, Astori, Saponara e - dulcis in fundo - Federico Chiesa. Due dei quali peraltro avevano alle spalle appena sei mesi di Firenze e di Fiorentina.

Oggi, a distanza di poco meno di due mesi e mezzo dalla chiusura del mercato, è giusto riconoscere al comparto sportivo della Fiorentina i meriti del caso. Sportiello e Astori, pur con le loro difficoltà, sono due dei tre leader carismatici della squadra; Benassi si appresta a diventarlo dopo un avvio di stagione non facile, Chiesa lo è in una sfumatura diversa e una volta trovato l'equilibrio che sembra ancora mancargli farà valere la sua autorevolezza. Biraghi si è affermato come prima scelta sulla corsia mancina, scavalcando senza troppe difficoltà Maxi Olivera nelle gerarchie di Pioli. Ad essere ancora qualche passo indietro è piuttosto Saponara: le aspettative riposte sul suo talento sono ampie, ma la sensazione è che le recenti decisioni di Pioli in chiave tattica possano penalizzarlo a lungo termine. Infine Lo Faso, ultimo dei sette violazzurri per età, esperienza ed impatto sulla gara: per lui, così come per altre piantine da coltivare, ci sarà tempo.

Innegabile, in ogni caso, è il fatto che la promessa di italianizzazione sia stata onorata ben più che parzialmente. Uno zoccolo duro italiano come quello della Fiorentina di Pioli lo hanno in poche squadre in Serie A, e in un periodo in cui le soddisfazioni sul campo stentano ad arrivare anche questo fattore può agire da mezzo di consolazione.

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