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Un gol, un gioco e l’utopia. Ecco cosa resta alla Fiorentina

Marco Bucciantini
La Fiorentina batte l'Atalanta, ma restano i rammarichi di quello che sarebbe potuto essere. E l'obiettivo adesso è l'utopia
Marco Bucciantini

Resta un gol che non è poco ma non racconta la partita per quella che è stata: aggredita, giocata, lottata, meritata. Resta un gol bellissimo, voluto da un giocatore indeciso sul suo posto nel mondo, che fu diciassettenne esordiente in serie A dirimpetto a Pogba (idea del Gasp, in un antico Genoa - Juventus), che s’annunciava uomo d’ordine ma poi si è barcamenato in lavori più faticosi. Rolando Mandragora non ha neanche urlato, né corso a perdifiato dopo la rete: ha serrato le emozioni, le ha trattenute nell’esultanza di chi assapora, di chi raccoglie un idea favolosa, "un arcobaleno" come lo ha chiamato Riccardo Trevisani in telecronaca. Mandragora probabilmente credeva in una carriera più lineare invece (essendo passato da speranza a plusvalenza in un attimo) ha macinato chilometri. Ha già cambiato 7 squadre quindi circa 200 compagni. Lo spostarsi lo ha forgiato e anche in campo esprime se stesso quando si butta con coraggio nella mischia, quando porta il fisico in avanti, quando si allinea ai tiratori, mentre si banalizza quando vuole impostare. Questo gol, bellissimo e importante, forse decisivo (ma lo sapremo fra un po’) che ne segue altri due recenti sia per lui la spada sulla spalla, l’investitura: quello che credeva d’essere, quello che è, quello che sarà lo sia adesso.

Resta un gol che è vittoria, festa, attesa.

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Lo stadio ha un pezzo vuoto: anch’esso in attesa ma il resto ha urlato insieme. L’attesa è un tempo importante se schiera gli sguardi verso la stessa direzione. Allora è marcia, è quella camminata con cui Galeano realizzava l’Utopia, in quel pensiero che lessi nell’età giusta per esserne tramortito, dalla bellezza, dalla speranza.


L’Utopia è là, all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai la raggiungerò. A cosa serve l’Utopia? Serve a questo: a camminare.

Molti lettori conosceranno queste parole, e le troveranno retoriche e un po’ svuotate dall’abuso. Eppure ho bisogno di ricordarle, come tutte le cose notevoli, importanti, emozionanti: “Ricordare, in fondo, viene dal latino re- corder, ripassare dalle parti del cuore”. Anche questa è dello scrittore di Montevideo, che tra l’altro sapeva di calcio. Mentre l’utopia è spesso parte del vocabolario ascoltato da Sarri, e l’orizzonte è nel motto più noto di Italiano ("nessun limite, solo orizzonti"). Due tecnici che potevano avvicendarsi, ma non sarà così. Due uomini tormentati dal proporre gioco, dal crescere i giocatori nei concetti individuali e associativi, che sentono la propria realizzazione in questo lavoro e con questo cercano il risultato. Non è un manuale per tutti e il cinismo corrode questo tempo, valutandolo in fretta, per i punti, per la fine. Ora, se ci piacciono orizzonti e utopie, dobbiamo avere la coerenza e il sentimento per guardare tutto con gli stessi occhi. Anzi: vedere, che è uno sforzo superiore al guardare.

Tutto quello che è la Fiorentina

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Per la terza volta in poche settimane, la Fiorentina in campo si spende per tutto quello che è. Con coraggio, con l’orgoglio di sé e la passione di chi la sostiene e in questo sforzo va (tutta insieme) oltre se stessa: è successo con Lazio, Roma, Atalanta. Le tre squadre che in questi anni ci sono state più vicine, ma sempre davanti: verso l’orizzonte. In tre partite ha subito pochissimo (ma il modo di giocare disallinea la sofferenza ai danni: quello che concede la Fiorentina, nell’interezza e nella nudità del suo proporsi e offrirsi alla partita, sarà sempre clamoroso, anche se limitato nella quantità). E ha creato decine di occasioni, dominando le partite, popolando la metà campo altrui, riducendo le pretese degli avversari. Gli attaccanti hanno giocato partite di pienezza agonistica e tattica, cariate dell’assenza del gol, ma la loro presenza, la loro forza nei duelli, il loro dominio sui difensori hanno permesso alla Fiorentina di sfociare in avanti: Beltran, Nico e Belotti sono davvero la preghiera di un popolo per questo finale di stagione. Se Bonaventura sta bene, se Arthur torna credibile, se Dodò sfiamma un po’, se Mandragora si convince che è il tempo è adesso, allora l’ardore di squadra può trovare anche una pulizia e una chiarezza che può elevare la Fiorentina ai suoi massimi.

Resta un gol, dunque.

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Resta un’utopia socialisteggiante (da trovare insieme, da sognare insieme) e un orizzonte, per muovere un popolo. Poi cambieranno uomini e cose, ma una marcia no, quella resta. Giriamo intorno a questa coniugazione d’un verbo intransitivo. Dobbiamo trattenere, lo abbiamo scoperto in questi giorni drammatici, dove abbiamo perso un uomo al comando. Il lutto ci ha rimesso a tutti, in quella necessaria condivisione di qualcuno e qualcosa, quel sentimento decisivo che umiliamo di quotidiane e forzate polemiche e divisioni e riscopriamo nel dolore, nella veglia.

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