Il processo di maturazione
—E così torniamo a quello che ci dicevamo prima della partita con l'Empoli. A quella curiosità che accompagnava una gara che avrebbe dato risposte parecchio importanti ad una lunga serie di domande. Quale può essere l'obiettivo? C'è stato un ulteriore salto di qualità? A che punto è il processo di maturazione? Bene (anzi male) le risposte sono quasi tutte negative e la spiegazione secondo me è sostanzialmente una. Declinabile in diverse micro questioni, ma tutte (appunto) riconducibili alla stessa “madre”: il livello dei giocatori e, più che altro, la loro forza a livello mentale. Quanti di loro si sono mai ritrovati a lottare per un posto tra le prime quattro o cinque del campionato? Quanti di loro sanno cosa vuol dire giocare ogni partita (o quasi) con l'obbligo di vincere?
C'è Bonaventura (anche se il suo Milan non era né quello di oggi né tanto meno quello capace di vincere campionati e Champions), c'è Arthur, forse Biraghi (che almeno un anno nello spogliatoio dell'Inter c'è stato) e poi? Lo stesso Nico, per dispersione il miglior giocatore della rosa, non ha mai lottato per certi traguardi. E se è vero che in parte la mentalità si può allenare (e Italiano l'ha fatto, dando identità e coraggio) è altrettanto innegabile che oltre un certo limite è difficile andare. Altrimenti non esisterebbero le categorie e basterebbe trovare un bravo allenatore e lavorare tanto su se stessi per meritarsi una grande squadra.
Come rimediare
—Non è così, ovviamente. Qualcosa si può fare costruendosi campioni in casa (Chiesa, Vlahovic, magari Kayode...) ma ad un certo punto per pensare sul serio di giocarsela da pari a pari con chi in Champions ci va da anni, bisogna osare. Altrimenti, e non ci sarebbe niente di male, il rischio è quello di doversi accontentare o, comunque, di dover sperare sempre non solo nei propri meriti e nella propria forza, ma anche nei problemi e negli errori delle altre. In passato, tanto per tornare al punto di partenza, è successo. E non è un caso se la Fiorentina di Frey, Toni, Gilardino, Mutu e compagnia prima, e quella di Gonzalo, Borja, Pizarro e gli altri poi, riuscirono (per anni) a stare tra le prime quattro. Erano, quelli, calciatori forti. Nei piedi, e nella testa. Per questo sbagliavano poco. Per questo, soprattutto, non fallivano occasioni come quella di lunedì sera.
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