L'imbucata

Pianticelle, gioielli e autogol

Magrini
Matteo Magrini ci ricorda i giovani viola del passato, quelli che brillano adesso e le potenzialità del Viola park.
Matteo Magrini

Qualcuno le chiamava “pianticelle”. Giovani promesse da coltivare con cura, sperando che un giorno potessero diventare radici portanti dell'albero viola. Quel qualcuno era Pantaleo Corvino, e definiva così i vari Babacar, Piccini, Lezzerini, Capezzi, Camporese, Venuti e compagnia. Qualcuno s'è perso per strada, altri hanno e stanno portando avanti una carriera comunque dignitosa tra serie A, B e Lega Pro. Altri, tipo Piccini, hanno assaggiato la Champions prima di arrendersi agli infortuni. Per non parlare dei due Federico. Uno (Bernardeschi) ha vissuto giornate e serate da sogno in viola, ha vestito la “10”, ha vinto scudetti, coppe ed europei. L'altro (Chiesa) è oggi uno dei più forti calciatori italiani. Certo nessuno (viste le scelte che han fatto) li ricorda con piacere, ma sarebbe sbagliato dimenticarsene. E poi Mancini e Zaniolo. Due che la maglia della prima squadra non l'hanno nemmeno indossata o soltanto sfiorata ma che adesso sono punti fermi nei propri club e in Nazionale.

Se quello è il passato però, sono presente (e futuro) a riempire d'orgoglio Firenze, i fiorentini e la Fiorentina. Il riferimento, va da sé, non può che essere a Michael Kayode. L'ultimo (preziosissimo) gioiello che il club ha forgiato in casa, credendo in lui quando altri (la Juventus) lo aveva sonoramente bocciato. Che storia, la sua. E che spettacolo vederlo giocare. “Con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così” di chi scende in campo in Italia o in Europa, in serie A o in azzurro (a proposito, Spalletti l'altra sera ne è rimasto impressionato) come fosse nel campetto sotto casa. Devastante, il ragazzo. Clamorosamente più pronto e maturo dei suoi 19 anni. E se è vero che con i ragazzi è sempre meglio andarci cauti, non si può nascondere l'impressione di esser davanti ad un altro predestinato.


Lui, dopo Ranieri. Un altro che un po' per caso si è ritrovato catapultato in una realtà che non avrebbe mai immaginato e che, prestazione dopo prestazione, partita dopo partita, ha convinto tutti. Un titolare aggiunto, capace di giocare con o al posto di Milenkovic e Quarta senza che nessuno possa mai rimpiangere l'altro. Anzi. Molto spesso quando non gioca o quando esce (e basta pensare a quanto successo nella stramaledetta finale di Praga) è la sua, di assenza, a farsi sentire. E se Sottil è l'altra pianticella ormai stabilmente nelle rotazioni di Italiano (nonostante il salto di qualità stenti ad arrivare) molto presto potrebbe venire anche il momento di Comuzzo. Centrale, o terzino destro. Si vedrà. E poi Martinelli. Dicono che la società non abbia voluto investire forte su un portiere perché convinta che, presto, sarà questo ragazzone del 2006 a prendersi la porta.

Bene ha fatto insomma Barone, prima della partita col Genk, a sottolineare il fatto che la Fiorentina si presentasse in campo con tre titolari “home-grown” ovvero, visto che siamo in Italia, cresciuti in casa. A proposito. Il futuro, da questo punto di vista, non può che essere ancora più roseo. Il Viola Park infatti sarà un acceleratore di talento. Il posto migliore, tra i migliori in Europa, dove crescere le proprie pianticelle. Del resto, per un club come la Fiorentina, non può che esser quella la strada per provare a giocarsela un po' più alla pari con chi può spendere cifre inimmaginabili per i viola. Applausi, quindi, e tanto ottimismo.

Per questo insomma, dispiace che negli ultimi giorni si sia parlato del Viola Park più per quanto successo al collega Francesco Matteini (a proposito, un grande abbraccio ed infinita solidarietà) che per la prima partita aperta al pubblico. Brutto, ma inevitabile. Perché, quanto successo, non è degno di quel meraviglioso centro sportivo. E qua forse vale la pena ricordare ai dirigenti (e in particolare a chi certe cose dovrebbe saperle) che una società di calcio non è un'azienda come tutte le altre per le quali “tutto bene, purché se ne parli”. No. Una società di calcio cresce (anche) se “vende” una bella immagine di sé, costringendo gli altri a parlarne bene. Anche chi, semmai esista davvero (ma ne dubitiamo fortemente) viva con il solo obiettivo di parlar male della Fiorentina.

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