Perché il calcio, lo sappiamo, è fatto anche di sliding doors, di incastri non riusciti, di momenti che scivolano via. Ma certe emozioni restano. E oggi, a distanza di anni, Ryder Matos per l’edizione speciale di Pasqua della nostra rubrica Meteore Viola, ha accettato di tornare con noi su quel pezzo di vita in viola. Lo fa con il sorriso di chi ha vissuto un sogno, anche se per poco. E con l’onestà di chi ancora si chiede dove sarebbe potuto arrivare. Di seguito la nostra intervista all'ex calciatore viola:
Ciao Ryder, mi sono permesso di spulciare nel tuo passato e ho pescato una tua intervista al Corriere dello Sport (ottobre 2013) in cui hai detto: “Vorrei diventare come Pato, sogno Ronaldo il Fenomeno”. Che significato aveva per te quella frase a soli 20 anni?
—"Quando cresci in Brasile, Pato e Ronaldo rappresentano degli idoli quasi inarrivabili. Erano nomi che, inevitabilmente, saltavano sempre fuori, anche nella mia quotidianità. Per me e la mia carriera, sono stati davvero degli importanti modelli di ispirazione, ai quali mi sono sempre ispirato. Forse è per questo che al tempo raccontavo di questo mio desiderio".
Com’è nato il tuo arrivo alla Fiorentina? Ti ricordi il momento in cui Corvino ti ha notato? Ricordi cosa ti disse la prima volta?
—"Avevo tredici anni e giocavo nel Vitória, squadra brasiliana: mio padre montava video con le mie giocate migliori e, grazie a un procuratore italiano (che abbiamo conosciuto), quelle clip arrivarono a Pantaleo Corvino. Dopo appena due giorni di prova e una partita amichevole contro l’Antella (con gol annesso), Corvino chiamò mio padre e disse: “Lo tengo a Firenze”. Ricordo ancora l’emozione..."
Ti aspettavi che la Fiorentina ti acquistasse subito?
—"Nei video ero piaciuto molto. Bastava ripetere ciò che il direttore aveva visto nel video. Facile no? (ride n.d.r.)".
Come hai vissuto il salto tra gli Allievi e la Primavera? C’è un compagno o un allenatore che ti ha segnato in quegli anni?
—"Con gli Allievi nazionali abbiamo vinto lo Scudetto con una mia rete decisiva nella finale contro l'Inter (3-1 per i viola). Ricordo che abbiamo chiuso quella stagione da imbattuti. In Primavera, sotto Buso, abbiamo vinto la Coppa Italia e la Supercoppa. Avevo in squadra compagni come Babacar, Iemmello, Acosty e Carraro. Ricordo anche l’arrivo di Bernardeschi (classe '94) che si aggiunse in seguito al nostro gruppo".
Vittoria del campionato Allievi, Coppa Italia Primavera, Supercoppa: cosa significavano per te quei successi?
—"Quei trofei erano la conferma che la Fiorentina credeva nel suo vivaio. La Fiorentina ha sempre puntato (come oggi) molto sul settore giovanile. Molti giocatori, come quelli già citati, non a caso hanno esordito in breve tempo con la prima squadra".
In quel 4-2-3-1 di Buso, giocavi spesso largo: ti sentivi già un esterno puro o volevi diventare altro?
—"Giocavo largo a sinistra, ma potevo giocare anche a destra. Vari allenatori mi vedevano bene anche da falso nueve. In molti apprezzavano soprattutto la mia capacità di muovermi tra le linee. La velocità e il dribbling sono sempre state le mie caratteristiche principali".
Nel 2012, vai in prestito al Bahia, in Brasile. Com’è stato tornare in patria? Ti ha aiutato a maturare per affrontare poi la Serie A?
—"Tornare a casa mi fece capire quanto fossi cresciuto in Italia. Il ritorno in Brasile è stato bellissimo. Non posso nasconderti che, alla fine di quella stagione, molte squadre brasiliane iniziarono a seguirmi e avanzare richieste. Devo dirti la verità, ero un po' riluttante nel tornare a Firenze. Alla Fiorentina ero ancora visto come “il ragazzo della Primavera”. Non avevo alcuna certezza. In Brasile, invece, giocavo in Serie A e con continuità. Quando però, poi, la Fiorentina mi ha richiamato e mi ha spiegato il suo progetto per me, non potevo non tornare".
Dunque, torni a Firenze e il 19 settembre 2013 in Europa League… entri al 66esimo, 26 secondi e gol! Riesci a descriverci quel momento? Cosa hai provato? Era la prima partita europea della Fiorentina dopo anni. Che atmosfera si respirava nello spogliatoio?
—"E' stato uno dei momenti più belli della mia carriera. Era il mio esordio con la maglia della Fiorentina. Quando Montella mi ha detto che sarei entrato, non ti nascondo che avevo molta ansia, ma fare quel gol è stato veramente speciale. Poi mi sono tolto la maglietta, ho esagerato (ride n.d.r.). Nello spogliatoio ho sempre visto dei giocatori troppo troppo forti, di altissimo livello. C'era un gruppo sano, con i veterani che aiutavano e spronavano. Pasqual, Gonzalo Rodriguez e Pizarro erano i nostri punti di riferimento. Si facevano sentire: parlavano e dicevano la loro sia nello spogliatoio sia durante le riunioni. Borja Valero, invece, è sempre stato per tutta la squadra il vero leader tecnico".
Dopo il gol al Paços Ferreira, segni ancora due volte contro il Pandurii (andata e ritorno). Tre gol in Europa League, da protagonista. Cosa ha significato per te vivere quelle notti europee?
—"Notti magiche. Prima che iniziasse la stagione, magari non ti rendi conto dell'importanza che queste partite hanno per i fiorentini. Ma una volta che ti trovi lì, al Franchi, immerso nel calore della gente, davvero comprendi quanto sia un privilegio vivere delle serate del genere. Per me, l'Europa League è sempre stata speciale: Montella mi dava più opportunità di giocare, perché i "titolari" erano preservati per il campionato. In ogni occasione in cui ho avuto una chance ho sempre cercato di fare il massimo e di dare tutto me stesso".
Montella disse: “Matos non sa nemmeno lui quanto siano rare le sue qualità”. Che rapporto avevi con lui?
—"Un rapporto molto bello. Già dal ritiro estivo avevo percepito una grande fiducia nei miei confronti. Sin dai primi allenamenti, ogni calciatore si accorge di questi piccoli dettagli. Con umiltà e cercando di dare il massimo in ogni allenamento, ho sempre cercato di guadagnarmi le mie opportunità. Sarò sempre grato a lui, anche perché ha visto e premiato il mio lavoro".
In Serie A, il 2 novembre 2013, arriva l’esordio a San Siro contro il Milan: che ricordi hai di quella partita (0-2 per la Fiorentina, reti di Vargas e Borja Valero)? Cosa ha significato giocare in uno degli stadi più iconici al mondo?
—"E' stata un'esperienza bellissima. Ricordo che il mister, nel tragitto del pullman verso lo stadio, mi passò accanto e mi disse: “Giocherai titolare”. L’ansia salì alle stelle, ero in coppia con Rossi. San Siro, i 65.000 spettatori, e poi la vittoria della Fiorentina: un esordio da sogno. Era la prima volta per me a San Siro: giocai molto bene e vincemmo 0-2".
Hai detto che Giuseppe Rossi era il tuo idolo e ti riempiva di consigli. Che tipo di persona e che compagno era? E Mario Gomez?
—"Pepito era umile e disponibile, mi dava consigli quotidiani su movimenti senza palla e scelte tecniche. Era una persona bravissima che ha vissuto, in quell'annata, una stagione fantastica. L'infortunio che ha avuto è un grosso peccato (gennaio 2014, contro il Livorno). Mario Gomez era, inaspettatamente, un po' più riservato e timido. Con lui avevo dei problemi con la lingua, non parlavo bene l'inglese (ride n.d.r.). In allenamento, mi indicava sempre quale era lo spazio che dovevo attaccare".
Sei stato presente nella finale di Coppa Italia 2014 contro il Napoli. Anche se non sei subentrato, che emozione è stata vivere quella serata? Secondo te, cosa è mancato per vincere quella partita?
—"Un peccato. Gli scontri e il caos pre-partita ci hanno forse un po' colpito psicologicamente. La sfortuna è stata un fattore? Sì, sicuramente. Ma secondo me abbiamo troppo rispettato il Napoli. Se avessimo giocato in modo più aggressivo e coraggioso, avremmo potuto vincere. La cosa mi ha stranito perché quello è sempre stato l’atteggiamento che abbiamo avuto durante tutto l’arco della stagione. C’è stato forse un approccio troppo conservativo alla partita".
Dopo quell’anno sembrava che la tua carriera in viola potesse decollare… secondo te, cosa ha impedito quel salto definitivo?
—"Gli infortuni hanno frenato la mia carriera. Dopo quell’annata (2013-14), ho ricevuto tante offerte dalla Serie A. Subito dopo, però, ho subito un intervento all'ernia e, poi, è arrivata questa offerta del Cordoba, in Spagna. Una volta arrivato lì, sono subito ricaduto in un altro infortunio che mi ha impedito di incidere (il prestito è stato concluso dopo i primi sei mesi). Non ho fatto il né il ritiro né la preparazione con la squadra. Anche al Palmeiras, l’anno successivo, è successa praticamente la stessa cosa. Solo quando ho avuto continuità ho fatto bene (come ad esempio al Carpi)".
Hai mai avuto la sensazione che il tuo tempo a Firenze fosse finito troppo in fretta?
—"Sì, a volte penso che avrei potuto lottare di più per restare. Montella mi stimava, e la società non mi ha messo alla porta, ma l’offerta del Córdoba mi attirò per la promessa di maggiore minutaggio e possibilità di giocare. Ripensandoci, forse con quel tipo di calciatori nello spogliatoio (Rossi, Borja, Pizarro, Gonzalo, Pasqual) e con Montella in panchina, avrei potuto crescere di più".
C’è un episodio o una scelta che, col senno di poi, avresti voluto vivere diversamente?
—"Ricordo la traversa colpita allo Juventus Stadium il 9 marzo 2014: un corner di Pasqual, la deviazione di Wolski e io solo davanti a Buffon. Se avessi mirato più basso, forse avrei scritto un capitolo diverso della mia storia in viola. Se solo avessi colpito un po' più verso il basso... Il terzo allenatore ricordo che me lo diceva sempre, soprattutto in allenamento".
I tifosi si ricordano ancora di te con affetto. Ti fa piacere sapere che hai lasciato un piccolo segno nella storia europea della Fiorentina?
—"Mi riempie di orgoglio. A Firenze sono cresciuto dai 13 ai 20 anni e la gente sa che ho sempre dato l’anima per la maglia. Tornarci è come tornare a casa: sento ancora l’affetto della gente".
Se potessi parlare al Ryder Matos del 2013, appena subentrato al posto di Joaquín, cosa gli diresti?
—"Niente! E' andata anche fin troppo bene (ride n.d.r.)".
Chi è Matos oggi?
—"Sono padre di due figli, marito, compagno di squadra e mentore per i più giovani. Gli infortuni sono stati davvero l’unico neo della mia carriera, ma oggi, col senno di poi, li vedo come passaggi per la mia crescita. Attualmente milito nel Perugia in Serie C e sto bene: gioco, segno e ho minutaggio in un ambiente competitivo (29 presenze, 5 gol e 2 assist sin qui in stagione)".
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