"Ogni partita ha aggiunto qualcosa. La Fiorentina ha vinto contro il Lecce e contro il Pana, è stata squadra contro la Juventus, è stata forte contro l’Atalanta. Sta ricostruendo una sua dimensione credibile e competitiva. Le ultime due vittorie allargano la corsa Champions richiamando dentro l'Atalanta e la stessa Fiorentina. Adesso è possibile. Le certezze sedimentano, crescendo i valori, le consapevolezze, le sicurezze. Quest’equilibrio e questa volontà d’insieme (ieri espressa in moltissimi atteggiamenti “positivi”, in una solidarietà non di posa ma concreta fra i giocatori) vanno protetti e proiettati fino in fondo alla stagione. Senza spaventarsi se una partita sfugge, se una sconfitta si mette di traverso. Adesso la Fiorentina deve spingere come un ciclista in fuga e può farlo perché ha ritrovato il colpo di pedale".
Tra i motivi della svolta c'è anche il passaggio al 3-5-2 con un centrocampo dai piedi buoni?
"Il nuovo modulo - già conosciuto da molti, non da tutti - ha restituito ordine. Palladino ha fatto scelte a centrocampo, il reparto più numeroso, cercando di “liberare” Fagioli. Libertà che aveva provato a dargli sulla trequarti, ma perdeva quell’intuizione, quel necessario coinvolgimento e quella visione di calcio in origine dell’azione. È un giocatore che è a Firenze da un mese e sembra già in possesso di qualcosa di profondo in questa squadra. Visto? Con un po’ di allenamenti insieme, dopo un paio di tentativi, le soluzioni si trovano, Come in autunno, una volta trovato il terzetto in quel reparto, e assegnati i compiti, la squadra si è sistemata, compattata. Io non smetterò mai di ripetere (perché credo in questo) che la crisi invernale sia cominciata con gli infortuni di Bove, poi Cataldi, poi Adli".
E poi, anzi prima di tutto, c'è il fattore Kean. Come si spiega questo suo exploit stagionale?
"Kean è meraviglioso: empatico, trascinante. L’attaccante in stato di grazia è personaggio della letteratura mitica. È un eroe capace di raddrizzare i torti, risolvere i problemi, vincere le sfide difficili. È successo perché Moise è un uomo all’incrocio perfetto: Firenze aveva bisogno del centravanti, di un ruolo simbolico nell’immaginario e decisivo nella competitività. Lui aveva bisogno di una squadra che gli consegnasse una maglia, lo proteggesse. Palladino con lui ha costruito un rapporto virtuoso, ha raccolto il meglio di un talento disperso, ha costruito un centravanti e un professionista migliore. Gli ha liberato la testa e il campo. E sa che un centravanti così, che si esalta nel duello western col difensore, può permettergli una copertura maggiore in alcuni momenti, perché Kean sa giocare spalle alla porta, sa elevarsi nella lotta solitaria, sa infervorare la partita statica. Si tratta di un acquisto che gratifica chi lo ha fatto, e un rendimento che valuta anche chi lo allena".
A questo punto serve forse un'ulteriore crescita dagli attaccanti che ruotano intorno a Kean?
"La disponibilità “fisica” di Gudmunsson permette di avere per Beltran un ruolo più sintetico e più giusto per il suo valore. In generale, intorno a Kean c’è una gerarchia adesso logica: Gud, poi Beltran, poi Zaniolo. Ma questi tre giocatori devono portare tiri, strappi, giocate decisive fra la trequarti e la porta. Devono dare tecnica alla zona di campo, e dare le statistiche che gli esterni d’attacco in questi ultimi anni non portavano. Adesso ognuno di loro è in uno schema che li mette a proprio agio, con un compagno di reparto che devasta le difese, creando opportunità e spazi".
Parliamo di Palladino, tre settimane fa era a rischio esonero ma tu eri fiducioso che potesse trovare la quadra: è andata così!
"Spesso, la ricerca di capri espiatori è solo un’astuta fuga dalle proprie responsabilità. L’allenatore è la figura perfetta, è una riduzione ideale del problema. La sconfitta (la delusione) è sempre più insopportabile in quest’epoca. E siccome il nemico affratella più del pane, quello serve. Con presunzione e cinismo valutiamo gli altri, distruggendo un confine fondamentale che è il senso della misura. Chi vive il calcio però sa che è la regola del gioco. Subisce l’esagerazione di un mondo dove quelle esagerazioni (va detto) sono anche monetizzate. E poi voglio dire un'altra cosa..."
Prego...
"Ho letto che ieri Palladino è arrivato a 100 panchina in serie A, il più giovane della sua generazione a riuscirci. La precocità testimonia di solito due cose: talento e al tempo stesso necessità di fare esperienza. Questa stagione si è misurato con due situazioni “probanti”: gli obiettivi di una piazza importante, storica, e la crisi che poteva fargli conoscere l’amarezza del fallimento professionale. Le esperienze crescono le persone. Ne sono usciti insieme, con la squadra, e questo è un punto di forza che condividono e che vale molto. Credo che per lui siano state settimane intense e indimenticabili. Io percepisco un uomo fortemente attaccato al lavoro, che ha cercato soluzioni, passando attraverso errori e intuizioni, che era dispiaciuto per le prestazioni modeste. In generale, io credo che il lavoro meriti sempre rispetto, e il talento merita quella particolare forma d’attesa che è la fiducia".
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