Quando si giudica il lavoro di Italiano e dei suoi collaboratori insomma, bisognerebbe sempre togliersi di dosso colori e passione e provare, se possibile, ad osservare la realtà con un minimo di oggettività. Ciò non significa pensare che il mister non abbia commesso errori o che non abbia difetti. Ne ha, ovviamente, ma non ha mai smesso di impegnarsi per correggerli. Ha rivisto alcune convinzioni, ha cambiato moduli, ha adattato giocatori, ad alcuni ha cucito addosso su misura ruoli e compiti (pensate a Beltran, acquistato come centravanti) ad altri ha più semplicemente restituito quella fiducia che pareva scomparsa e che ha permesso loro di riscoprirsi utili: Duncan e Kouame, giusto per citarne un paio. Pur rispettando le opinioni di tutti insomma (e ci mancherebbe altro) fatico a non pensare che se la Fiorentina ha continuato a crescere e ad alzare l'asticella delle proprie ambizioni sia stato soprattutto per merito dell'allenatore e di un gruppo di giocatori normalissimi che, pian piano, ha aumentato il proprio livello.
Due anni e mezzo dopo quindi, tanto per tornare al punto di partenza, Vincenzo Italiano è sicuramente un allenatore migliore, con più esperienza e con un bagaglio di conoscenze ancora più ampio. Si può fare lo stesso discorso per la società? Si può essere sicuri che continuando a lavorare come fatto in questi anni, ma con un’altra guida tecnica, i risultati resteranno gli stessi o addirittura miglioreranno? Oppure, è più concreto il rischio che si torni al pre Italiano? A quando, con una rosa non tanto diversa da quella da cui siamo partiti in questa analisi, la Fiorentina faticava fino all'ultima giornata per salvarsi mostrando quasi sempre uno “spettacolo” a dir poco deprimente? Le risposte, se le dovrà dare soprattutto il club. Valutando con attenzione il valore di quello che ha in mano (troppo spesso sopravvalutato) e quello di chi, invece, quasi certamente se ne andrà altrove. Quanto ai tifosi, pur come detto accettando qualsiasi punto di vista, penso che il rischio (serio) sia quello di ritrovarsi, tra qualche mese, a fare i conti con una delle lezioni più dure (ma vere) che si possono imparare nella vita. Quella secondo la quale ci si accorge del valore delle persone, o delle cose, soltanto quando si perdono.
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