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Smarrita e senza identità: Pioli scelga una strada e aiuti la Fiorentina a ritrovarsi
Un mese, per ritrovarsi al punto di partenza. Quattro partite di campionato, più le due di Conference, per domandarsi se “l'è tutto sbagliato l'è tutto da rifare”. Da fine maggio, a fine settembre. Da contestazione a contestazione, da crisi a crisi, da senso di smarrimento a senso di smarrimento. Nel mezzo le dimissioni di un allenatore, l'arrivo di un mister che aveva messo d'accordo più o meno tutti, i buoni propositi, i tanti soldi (mai così tanti) messi sul tavolo del mercato, le belle parole. E invece, appunto, (ri)eccoci qua. Con un ambiente pronto ad esplodere, un senso di malcontento diffuso e la fastidiosissima sensazione di non sapere come venirne fuori. Sarebbe facile insomma, dopo la disastrosa “esibizione” di domenica col Como, lasciarsi andare a sconforto e disfattismo. E sia chiaro. Gli elementi per essere preoccupati ci sono tutti e sarebbe sbagliato trascurarli o, come successo troppo spesso in questa città, far finta che vada tutto bene.
Detto questo però, trovo più utile provare a capire cosa non stia funzionando e cercare di immaginare qualche possibile soluzione. E se qualcuno vuol perder tempo con i vari “eh ma se c'era Palladino lo stavate massacrando”, “eh ma sa succedeva l'anno scorso chissà cosa dicevate”, “eh ma se...”, “eh però ma...” libero pure di farlo, ci mancherebbe, magari però dopo aver fatto il piccolo sforzo di andarsi a rileggere cosa si scriveva dodici mesi fa. Nessuna persona di buonsenso chiedeva l'esonero di Palladino a settembre e nessuno, di buonsenso, dovrebbe chiedere oggi la testa di Pioli. Al mister invece è giusto porre delle domande, proporgli questioni e dubbi, analisi e punti di vista sperando, perché non ci sono al momento strade alternative, che riesca a trovare una soluzione. E così veniamo a quello che si sta vedendo o non vedendo guardando le partite della Fiorentina.
Punto primo: l'identità. Questa è una (non) squadra che vaga alla ricerca di se stessa e che pare non riuscire nella transizione da quello che è stata a quello che vorrebbe essere. Prendiamo la gara col Como. Quarantacinque minuti ben fatti in fase di non possesso, con un atteggiamento finalmente vicino alle idee di Pioli, ma senza andare oltre. Senza palla insomma era la Fiorentina del nuovo allenatore, col pallone invece era ancora quella del suo precedessore: lanci lunghi, zero palleggio, centrocampo scavalcato. Con una differenza: quella era una scelta. Poteva piacere o no, ma era supportata da un lavoro e da un'organizzazione conseguenti. Kean era lasciato da solo e libero di andare dove voleva; i compagni sapevano di dover accompagnare ogni lancio andando a caccia delle seconde palle, i centrocampisti sapevano di doversi preparare ad una difesa col baricentro molto basso. Oggi no. Oggi i viola difendono da squadra offensiva, ma attaccano con paura. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: distanze enormi, autonomia inevitabilmente ridotta dovendo sempre rincorrere, zero produzione di occasioni da gol.
Che fare, quindi? Rispondere è complicatissimo, perché infondere coraggio è forse la cosa più difficile. Guardando i difensori viola infatti appare evidente la loro preoccupazione quando c'è da giocare il pallone. Sempre che, e forse sarebbe ancora peggio, non sia invece questione di qualità. Di certo c'è che Pioli, là dietro, aveva chiesto qualcosa/qualcuno di diverso. Qualcuno, guarda un po', che avesse piedi educati e spalle larghe. Come se ne esce? Forse davvero insistendo sulla difesa a quattro, sfruttando nella primissima costruzione la qualità e la personalità di Dodò e Gosens, e poi costruendo un centrocampo che punti tutto o quasi sui piedi buoni. Mandragora, Nicolussi, Fagioli, perché no, con Fazzini e Gudmundsson alle spalle di Kean. Metter dentro più qualità possibile insomma, lavorando per convincere i giocatori che soltanto attraverso i “rischi” si può diventar grandi. Ed ogni riferimento al Como visto domenica non è puramente casuale.
L'importante comunque, è scegliere una via e darle un po' di continuità. Veniamo infatti da un'estate nella quale si è visto sempre e comunque il tridente Gud, Kean, Dzeko eppure, quella soluzione, non s'è più vista. E poi il 3-4-1-2, il 3-5-2, il 3-5-1-1, il 4-4-2. Ogni partita, e spesso all'interno della stessa, un abito diverso. Segnale evidente di come il mister stia ancora cercando quello migliore ma così non so quanto e come sia possibile costruire quella famosa identità. Meglio costruirsi una certezza, ora come ora, e su quelle fondamenta poi pensare anche (giustamente) a delle alternative. Stesso discorso, più o meno, per gli uomini. Sono un sostenitore convinto delle rotazioni ma, perché funzionino, ci dev'essere uno spartito comune, riconoscibile e riconosciuto da tutti.
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