Luci e ombre a San Siro per una Fiorentina che esce battuta, ma mostra anche degli spiragli di gioco interessanti
Premessa: se giovedì (prima della partita) ci avessero detto che la Fiorentina avrebbe fatto 3 punti nel doppio confronto con l'Inter, avremmo firmato tutti. Perché stiamo parlando della squadra per distacco più forte d'Italia e perché i viola, al Franchi, si presentavano in condizioni oggettivamente mai viste. E poi basta guarda la classifica, per rendersi conto di come il cielo sia tutt'altro che nuvoloso sulla testa di Kean e soci. Per non parlare del calendario che, su quella famosa carta che vale più o meno niente, offrirebbe l'opportunità di piazzare un allungo mica da ridere: Como (in casa), Verona (fuori) e Lecce, di nuovo a Firenze. Se il sogno/obiettivo è la Champions, non si può pensare di non vincerle tutte e tre o, male che vada, di portarsi via almeno 7 punti.
Basta insulti razzisti
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Detto questo, torniamo per un attimo a quanto successo lunedì sera a San Siro. Punto primo: mi fa vomitare il fatto che nel 2025 ci sia chi ancora si esprime come quei fenomeni (loro si, sottospecie di scimmie) hanno fatto nei confronti di Kean. Mi schifa, ma non mi sorprendere. Del resto basta farsi un giro ogni tanto sui social network (purtroppo anche sulla pagine di tanti che si professano “tifosi” della Fiorentina), leggere i commenti agli articoli o i messaggi che arrivano in radio per rendersi conto di quale sia il mondo/la società in cui viviamo. Vale tutto, si può dire qualsiasi cosa e in qualsiasi modo, tanto i primi a dare l'esempio sono quelli che ci dovrebbero governare o quelli che, comunque, dovrebbero rappresentare la classe dirigente (e quindi l'élite) del Paese, dell'Europa, degli Stati Uniti (ogni riferimento a Trump non è puramente casuale), del mondo. Un abbraccio a Kean, quindi, che bene ha fatto a postare nomi e cognomi (sempre che siano veri, ma dubitiamo vista codardia di certa gente) di chi l'ha insultato.
Arbitri e tecnologia
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Punto secondo: gli arbitri. O meglio. Il Var e il magico mondo che lo circonda. Ora, detto che non serviva certo il replay o chissà quale telecamera per rendersi conto che quel pallone dal quale è poi nato l'angolo dell'1-0 era uscito, possibile che in un calcio nel quale (quando si vuole e quando fa comodo) domina la tecnologia possa ancora esser permesso di falsare in questo modo l'andamento di una partita? Si annullano gol per un chicco di forfora in fuorigioco, si fischiano rigorini ridicoli (tipo quello concesso alla Fiorentina a San Siro, tanto perché a noi piace essere onesti) e poi si lascia correre su episodi del genere? “E' il protocollo, dicono”. No, rispondo io, è la stupidità e l'ottusità di chi non vuol far prevalere decenza e buonsenso. Servirà lo scandalo di lunedì per cambiare qualcosa? Ce lo auguriamo, ma non ci speriamo.
E adesso il campo
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Resta da parlare del campo e, più che altro, della prova della Fiorentina. Voglio partire da due definizioni. Questa per iniziare: la parola “meritocrazia” è l’unione del latino merēre, merĕor ("guadagnare", "farsi pagare") e del greco kratos ("potere"). E' dunque, letteralmente, il potere del merito, cioè il principio di organizzazione sociale che fonda ogni forma di promozione e di assegnazione di potere esclusivamente sul merito. E poi questa: riconoscente è "colui che riconosce il beneficio ricevuto e ne conserva memoria, mostrando di apprezzarlo e di volerlo, all’occasione, ricambiare". Secondo voi, chi guida una squadra di calcio di serie A, quale di questi due principi dovrebbe seguire quando decide chi mandare in campo? Per me, la risposta è ovvia. In campo deve andare sempre la formazione che si ritiene migliore per vincere quella partita tenendo ovviamente conto di forze, energie, situazioni e, quindi, delle giuste logiche di rotazione. Per intendersi: Palladino a San Siro aveva tutto il diritto di far giocare gli stessi undici che avevano fatto l'impresa ma quando parla di “meritocrazia” non convince. Semmai, stando a quanto ha raccontato lui stesso, ha scelto per “riconoscenza”. E se il criterio è stato quello (“Mi sono chiesto se fosse giusto cambiare ma era giusto premiare chi giovedì era stato straordinario” ha detto il mister) vuol dire che lui stesso (e sarebbe come minimo curioso) aveva dei seri dubbi sul fatto che potessero replicare quel tipo di gara.