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Parateci
Una domenica mattina, ormai diversi anni fa, fui chiamato da un amico che mi voleva far incontrare quello che, secondo alcuni, sarebbe stato il futuro direttore sportivo della Fiorentina. La squadra, dopo un campionato balbettante, era finita in serie B. Mi recai all’appuntamento molto incuriosito. Il direttore sportivo in questione voleva sapere cosa pensassi del suo arrivo a Firenze. Non senza una punta di perfidia e con una bella quota di impudenza, gli dissi che non mi preoccupava la sua nomea e che la Fiorentina in B era un danno per tutti, compresi i giornalisti, e, con un paradosso, sbottai: mi sarebbe andato bene anche Al Capone.
L’ipotesi sfumò perché Cecchi Gori padre e figlio non si misero d’accordo. Ebbene, dopo molti anni non ho cambiato parere. Fabio Paratici ha scontato una squalifica di trenta mesi per la storia delle plusvalenze? Le vicende degli esami di lingua italiana “facili” all’Università di Perugia? Il Milan gli ha preferito Igli Tare dopo i malumori dell’ambiente? Non mi importa più di tanto. Ciò che invece mi lascia perplesso è capire secondo quali criteri Commisso (o chi per lui) lo abbia scelto e quale sia la strategia futura.
La società viola è alle strette, la folla della Curva Fiesole (emigrata in curva Ferrovia) tuona minacciosamente il proprio scontento mitigato dalla recente goleada con l’Udinese, mentre Paolo Vanoli è condannato alle solite “partite della vita”. Paron Rocco sta nel suo eremo “silenzioso” di là dal mare in compagnia della signora Caterina ma, dicono, non ha contatti con alcuno. Pradè non c’è più anche se frequenta il Viola Park come un B&B. Restano il direttore generale Ferrari e l’ex direttore tecnico (appena promosso a direttore sportivo) Goretti.
Fabio Paratici, cinquantatré anni, arrivò alla Juve come braccio destro di Beppe Marotta. Dopo l’ingaggio di Ronaldo, Marotta se ne andò e lui diventò il numero uno. Poi, dopo quei giorni turbolenti, è emigrato al Tottenham dove è tuttora ma non vede l’ora di tornare in Patria. Fargli un contratto di cinque anni è una decisione impegnativa. Forse è stata una sua conditio sine qua non, come dire "o così o sennò non se ne fa di nulla". Legittimo da parte sua, impegnativo, come dicevamo, da parte della società. Comunque sia è finalmente un segnale forte. La salvezza della Fiorentina resta un traguardo difficile quanto ambizioso, ma almeno i Commisso, moglie e marito, sembrano aver percepito la delicatezza del momento. Ora a tutto il gruppo, giocatori in prima fila, non resta che lavorare. Speriamo conoscano il significato di questa… speranza.
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