- Squadra
- Nazionali
- Calciomercato
- Statistiche
- Coppa Italia
- Social
- Comparazione Quote
- Redazione
Che tempi, quei tempi. Quando “la partita con la Juve deve diventare solo un big match per l'alta classifica”, quando era addirittura una specie di scontro diretto e sì, valeva tantissimo, ma non un'intera stagione. Altra storia, altra Fiorentina. Roba di una ventina di anni fa (primo Prandelli) o, per andare un po' meno lontano, di quando i viola di Montella incantavano la Serie A e si presentavano all'appuntamento con la consapevolezza di potersela giocare (più o meno) alla pari. Del resto, se hai gente come Gonzalo e Borja Valero, Aquilani e Pizarro, Cuadrado e Joaquin, Ilicic e Giuseppe Rossi, non può che esser così. Oggi, purtroppo, non è così. E certo. Il Fiorentina-Juventus di quest'anno arriva in un momento e con premesse particolarmente tristi, ma non è che negli ultimi anni fosse chissà quanto diverso. E' capitato di vincere o stravincere (sia con Italiano che con Palladino) ma sulla carta, i valori, non erano nemmeno lontanamente paragonabili.
Quello di domani invece, e così veniamo alla strettissima attualità, somiglia parecchio a quelle gare di inizio anni '90. Anni in cui la Fiorentina bazzicava triste la medio/bassa classifica e bastava battere i gobbi per sentirsi felici. In una parola: provincialismo. E allora, visto che ora come ora tutti dicono (giustamente) che la squadra deve assumere la mentalità da provinciale, così sia! Quale miglior avversario dei bianconeri, per dimostrare di averlo capito? Quale occasione più ghiotta per tirar fuori tutto quello tenuto nascosto fin qua e dar vita alla partita della vita? Roba, appunto, da provinciali veri. Capaci di trovar motivazioni e forze speciali in poche, pochissime occasioni, e di trarre gioia e godimento anche solo per una (singola) vittoria. Ci riuscirà, questo gruppo? Perchè anche per questo, servono attributi e carattere che fin qua nessuno ha fatto vedere. Basta pensare a UOMINI come Celeste Pin, Mario Faccenda, Carlos Dunga, Stefano Borgonovo, Beppe Iachini... tanto per citare una Fiorentina che chiuse 12ma in classifica ('90-'91) ma, appunto, di schiantare la Juventus al Franchi.
Di sicuro Vanoli sa cosa vuol dire e ha dentro di sé tanta di quella voglia e di quella motivazione che metà basterebbero. L'importante è che riesca a trasferirla ai suoi perché, battute o semi battute a parte, questa gara potrebbe davvero rappresentare quella scintilla che stiamo aspettando (invano) da inizio stagione. A Genova qualcosa si è visto, ma servono conferme e tanti, tanti, tanti, progressi. Con una certezza. Sempre la stessa: per venirne fuori non si può non passare da Gudmundsson e Kean. Sono loro, insieme al solito De Gea, quelli con qualità e numeri per trascinare i compagni fuori dalla melma. In fondo, anche i viola di quegli anni da super provinciali, hanno quasi sempre avuto gioielli che rendevano fiera la città. Poteva essere Antognoni o Batistuta, Baggio o Rui Costa. Ecco. Qua parliamo di dimensioni diverse (ovviamente mooooolto più piccole) ma quei due devono stare alla squadra come quelli stavano ai loro compagni.
P.s: quante volte, in radio come nelle chat o nei commenti qua su violanews, leggiamo messaggi del tipo “ma perché queste domande o queste considerazioni non le fate in conferenza stampa?”. Risposta: spesso perché non se ne ha l'opportunità. Mi riferisco a quanto successo ieri quando, vecchio terribile vizio, gli addetti alla comunicazione della Fiorentina hanno annunciato che sarebbero state prese le “ultime due domande” quando almeno metà dei colleghi (tutti i siti, alcune radio, le tv che non fossero la Rai) ancora non avevano potuto porre la loro. Roba sinceramente insopportabile. Chi lo stabilisce, che devono finire le domande? E perché? Con quale criterio? Ragioni di tempo? Si istruisca il tesserato di turno (in questo caso il mister) a rispondere in tempi meno che biblici (tanto la sintesi torna utile anche quando si parla ad un gruppo visti gli studi sui tempi di attenzione....) ma si dia a tutti l'opportunità di fare il proprio lavoro.
Perché parliamo di ragazzi che spesso devono farsi una o due ore di viaggio tra andata e ritorno per raggiungere il Viola Park, che magari per il momento non vengono nemmeno rimborsati per le spese o di editori che, comunque, spendono soldi per mandare un inviato e fare domande e non a prender note di risposte a questioni altrui. Altrimenti, potrebbero benissimo starsene a casa. Lo diciamo perché abbiamo apprezzato i recenti miglioramenti (del resto rispetto a quando le testate sgradite erano silenziate o relegate a far domande sempre e comunque per ultimi, magari anche dopo colleghi arrivati dalla Grecia non ci voleva moltissimo...) e restiamo convinti che la soluzione migliore, a maggior ragione in una città come questa, sia sempre aprirsi, e mai il contrario. Se poi la si pensa diversamente, amen. Ci si faccia bastare il concetto di “rispetto”. Parola poco di moda, mi rendo conto, ma che non andrebbe mai dimenticata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA