Diceva Liga che “chi s'accontenta gode...così così” e, in linea di massima, siamo d'accordo con lui. Perché farsi andar bene il minimo indispensabile è spesso sintomo di mediocrità e perché, da che sport è sport (ma vale anche nella vita) soltanto puntando al massimo immaginabile (e perché no, oltre) puoi sperare di arrivare in alto. Al contrario, se fissi l'asticella a metà altezza, o magari anche più in basso, non potrai che fermarti entro limiti non certo esaltanti. Per questo, e perché eravamo e restiamo convinti che una società come la Fiorentina e una città come Firenze avrebbero tutto per pensare a costruirsi un futuro di grande livello, abbiamo sempre messo in discussione chi spacciava per traguardi straordinari qualche sesto, settimo od ottavo posto ottenuti, tra l'altro, andando quasi sempre oltre i reali valori delle squadre messe a disposizione degli allenatori. E basta pensare all'orgoglio col quale il d.g Alessandro Ferrari ha rivendicato quanto fatto l'anno scorso (“c'eravamo noi...non qualcun altro...”) per capire di cosa stiamo parlando. Evidentemente insomma, da quelle parti va bene così. E non a caso (quante volte ne abbiam parlato) la proprietà non è mai intervenuta per cambiare le cose.

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Fiorentina già figlia di Vanoli. Kean dominante ma può e deve fare un salto di qualità
A piccoli passi
—Fatta questa premessa però, e per venire alla strettissima attualità, tocca fare i conti con la realtà. Tapparsi gli occhi insomma, o pensare a chissà cosa, in questo momento sarebbe sbagliato e, ovviamente, dannoso. Far bene il proprio lavoro infatti significa anche capire i momenti, saperli leggere, e adeguarsi di conseguenza. Per questo, quanto fatto vedere sabato scorso dalla Fiorentina, merita di esser valutato positivamente. Senza esaltarsi, sia chiaro, ma (appunto) apprezzando i tanti, piccoli o piccolissimi progressi, che stanno emergendo. Ne elenco alcuni: l'attenzione, la concentrazione sulle palle inattiva, lo spirito. Soprattutto, la capacità di reagire. Quel gol preso proprio al tramonto del primo tempo infatti poteva essere un colpo da ko e invece, nella ripresa, si è vista una squadra finalmente decisa a ribellarsi alla sconfitta. Senza far niente di eccezionale (anzi) ma facendo di tutto per rimettersi in piedi. A proposito. Un altro aspetto da sottolineare è quello fisico. I viola stanno crescendo, e anche questo conta non poco.
A immagine e somiglianza di Vanoli
—Per quanto mi riguarda però, e valeva con Italiano così come con Palladino, l'aspetto più importante è la somiglianza tra squadra e allenatore. Ecco. Sia a Genova che (soprattutto) con la Juve, si è vista una Fiorentina che già sta prendendo le sembianze di Paolo Vanoli. Mica poco, considerando che è arrivato l'altro ieri. In pratica, è entrato più lui nel cuore e nella testa dei suoi in un paio di settimane che Stefano Pioli in quasi quattro mesi. E' stata questa, la più grande “colpa” (da dividere con club e giocatori) dell'ormai ex mister. Erano due corpi estranei, incapaci di comunicare e di capirsi, che si son via via allontanati fino a quella terrificante partita col Lecce. Quando si dice di una squadra che “gioca contro l'allenatore” ci credo poco, ma se si parla di rapporti rotti o inesistenti, e di un gruppo che anche inconsciamente non si sentirà mai legato nel destino alla sua guida, ci si riferisce esattamente a quello che è successo alla Fiorentina. Una società seria e presente l'avrebbe capito prima, ma vabè. Restiamo convinti che, seppur tra mille difficoltà, ci sia ancora modo e tempo per salvarsi.
Una riflessione su Kean
—Chiudo su Kean. Sabato è stato trascinante, sotto tutti i punti di vista. Ha dominato il fronte offensivo e, da solo, ha devastato la difesa della Juventus. Esaltato dalla partita e, più che altro, dalla scelta di Vanoli di tornare a dodici mesi fa: baricentro più basso, e tanti lancioni. Giusto così, se è quello che serve. E non è certo questo il momento per ribadire come ci piacerebbe un altro tipo di calcio. Se ne riparlerà, magari, a situazione sistemata. Semmai, si può dire una cosa su Moise: se pensa di tornare in un grandissimo club, e a giocare per i massimi traguardi, bisogna che impari a giocare anche con la squadra più vicina e con allenatori che vogliono dominare, e non vivere di rimessa. I top club infatti (Milan di Allegri escluso) giocano un calcio propositivo, nel quale il centravanti deve sapersi connettere agli altri. Ci è riuscito Haaland, evolvendosi, e chissà che non ci riesca anche Kean. Per ora comunque, ci “accontentiamo” e ci godiamo (non così così, ma a pieno) un attaccante che può e deve tirare la Fiorentina fuori dai guai.
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