Se tra un mese la Fiorentina sarà ancora a bordo del treno che porta nell'Europa dei grandi il club a gennaio dovrà avere il coraggio di investire per crescere: si chiama rischio d'impresa e Commisso lo conosce bene.
C'era una volta una squadra capace di fare addirittura meglio di questa, bellissima, Fiorentina. Una squadra forte, non fortissima, fatta di giovani talenti pronti ad esplodere (Chiesa, Bernardeschi), senatori esaltati dalla filosofia di gioco (Borja Valero, Gonzalo Rodriguez), talenti finissimi (Ilicic) ed un allenatore che, giorno dopo giorno, li aveva convinti di poter raggiungere l'impossibile. Quella squadra dopo otto giornate guidava la classifica, aveva ridicolizzato l'Inter a San Siro, e restò lassù per tutto il girone d'andata.
Il passato
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Quel che è successo dopo, si sa. Il mercato di gennaio, il blitz più lungo che mercato ricordi, il vano inseguimento a Mammana, l'acquisto di Benaluoane. Che gennaio, quel gennaio. Roba che ancora oggi suscita risate (ironiche) miste a tristezza. Talmente assurdo, sotto tutti i punti di vista, da diventare una specie di fantasma da esorcizzare. “Speriamo di non fare come quella volta...”. E se è vero che nessuno potrà mai sapere cosa sarebbe successo se la società (allora guidata dai Della Valle) avesse assecondato l'ambizione del gruppo squadra/allenatore, di certo non si può negare che quel 2015/2016 resta uno dei più grandi rimpianti nella storia recente della Fiorentina. Quello, insieme al '98/'99 dell'infortunio a Batistuta, e della fuga di Edmundo al carnevale di Rio.
Oggi
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Ma cosa c'entra oggi, tutto questo? Domanda lecita. La risposta, per chi non l'avesse intuita, è in realtà una speranza. La speranza che stavolta la società non si tiri indietro, e che accompagni Italiano ed i suoi giocatori in un cammino appena iniziato ma che ha tutte le premesse per diventare una corsa straordinaria. Del resto, qualche similitudine con quell'annata c'è: i giovani in rampa di lancio (Kayode, Parisi), “vecchi” senatori decisi a tutto pur di prendersi la rivincita dopo le due finali perse. Soprattutto, un allenatore che come il Paulo Sousa di allora è riuscito ad entrare nella testa dei suoi, rendendoli più forti di quello che sono. Con una differenza. Fondamentale. Mai e poi mai infatti Italiano reagirebbe come fece il portoghese. Non si arrenderebbe ma, al contrario, lavorerebbe con ancor più determinazione.
Del resto, in un certo senso, si è già trovato in una situazione del genere. Il riferimento è alla sua prima stagione in viola quando, a gennaio, gli fu tolto dalle mani il capocannoniere del campionato. Anche qua. Nessuna controprova, ma resto convinto che con Vlahovic quella Fiorentina si sarebbe giocata la Champions fino alla fine. Ecco. La Champions. Prima considerazione: penso che i viola abbiano valori inferiori ad (almeno) sette squadre. Per competere per quel tipo di traguardo, quindi, servirà qualcosa di molto simile ad un miracolo. Seconda considerazione: questo è un campionato particolare, nel quale Napoli, Roma e Juventus sono alle prese con tanti problemi. Non solo. I viola, per meriti loro, hanno già un bel vantaggio su diverse concorrenti: +4 sull'Atalanta, +6 su Mourinho, +7 su Sarri. Mica poco.