In una lunga intervista rilasciata a Sportweek,Moise Kean ha spaziato a 360° entrando anche in questioni più nascoste e poco conosciute di lui, soprattutto fuori dal campo. Il centravanti viola si definisce "unico", per il suo modo di vivere tutto suo, diverso dagli altri, silenzioso ma allo stesso tempo diretto. "A me è mancata la figura paterna, quindi con mio figlio (Marley n.d.r.) cerco di costruire un rapporto solido e mi impegno a non fargli mancare niente. E' importante che lui sappia fin da ora che io ci sarò sempre, più un padre è vicino al figlio, meglio è". Moise - traduzione francese di Mosè, come tiene a precisare - è cresciuto senza una figura paterna, e a partire dai 13 anni quando si è trasferito a Torino per giocare nelle giovanili della Juventus ha iniziato a sentirsi addosso grandi responsabilità: "Sono andato via per giocare a calcio, e le responsabilità derivavano dal fatto che fossi consapevole che dal mio futuro dipendesse anche quello della famiglia. Mia mamma lavorava tanto, mio fratello era lontano, e io avevo la mia famiglia sulle spalle, come è tuttora".
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Kean: “Io, Moise, unico ma uno come tanti. Per essere leader devo farmi il mazzo”
Le pressioni però ormai sono solo un ricordo, e soprattutto frutto delle opinioni che gli altri gli addossavano. "Non sono mai entrato nel Paese dei balocchi. Che piaccia o no, sono un ragazzo di 24 anni a cui piace la musica, tornare a casa dagli amici e giocare alla Play. Sono uno come tanti. Come ho detto, a volte la gente dimentica che ho 24 anni. Non sono più un ragazzino, ma mi piace fare ancora le cose da ragazzo, perché i 24 anni non tornano più". Adesso Moise è maturo, anche dentro il campo, affinando nel corso degli anni il suo ruolo da centravanti. Non conta solo la giocata "ho capito che devo anche correre, pressare, scattare, aiutare la squadra. Se voglio essere leader e avere una squadra che mi segue, in campo devo farmi il mazzo".
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