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Corriere Fiorentino
La fotografia racconta meglio di ogni altra cosa chi fosse Kurt Hamrin, scomparso ieri all’età di 89 anni. È il 9 febbraio 1966, la più forte Inter della storia perde la semifinale di Coppa Italia per 2 a 1 e a realizzare la rete decisiva è lo svedese più amato a Firenze. La segna al novantesimo, alla sua maniera, cioè non si sa neanche come, e Giuliano Sarti, immenso portiere nerazzurro e suo compagno per cinque campionati, gli sorride amaramente chiedendogli: «Ma come, proprio te?».
Sì proprio lui, Kurt, che di reti ne ha segnate 151 in serie A con la maglia viola, più altre decine nelle varie coppe. Prima di decidere la partita, aveva mandato in ciampanelle il grande Giacinto Facchetti, che lo soffriva tantissimo, ma nessuno era mai troppo contento di affrontarlo. Segnava sempre, giocava di sponda con chi lo marcava: se non seccava l’avversario con il dribbling, faceva rimbalzare il pallone sulle gambe di chi aveva di fronte e poi partiva, con il sano egoismo del goleador, anche se in teoria sarebbe stato un’ala destra. Anche per questo il mitico personaggio fiorentino chiamato Conte Razza, al secolo Renzo Propidi, iniziò a chiamarlo con quel nomignolo che lo ha sempre accompagnato: Uccellino.
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