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Cecchi: “Uno dirige, uno canta e un altro fa gli assoli Il ritorno dei tre tenori”

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Stefano Cecchi ha analizzato la grande prova dei tre leader della Fiorentina, che finalmente sono tornati a giocare come sanno: Nico Gonzalez, Bonaventura e Arthur
Redazione VN

Il giornalista Stefano Cecchi, sulle colonne de La Nazione, ha parlato della splendida prova contro la Lazio di tre giocatori fondamentali che negli ultimi due mesi non erano al top della condizione.

Uno ha preso la bacchetta in mano e ha diretto da par suo; l’altro ha cantato come da tempo non gli capitava e anche il terzo, se pur non a livello dei primi due, ha fatto ascoltare qualche assolo dei tempi migliori. Li chiamano i tre tenori, e forse non è un caso se con il loro ritorno ad alti livelli si sia rivista la Fiorentina armonica dei tempi migliori, quella che come le sirene di Ulisse incantava e stregava i marinai avversari col proprio canto. Già, i tre tenori, ovvero Arthur Melo, Jack Sparrow Bonaventura e Nico Gonzalez. Il termine arriva da lontano, esattamente dal 1990, quando con i mondiali organizzati in Italia si pensò a un concerto colossal al Circo Massimo e furono chiamati ad esibirsi assieme i tre più grandi tenori dell’epoca, ovvero Pavarotti, Jose Carreras e Placido Domingo. Da allora il termine «tre tenori» evoca le eccellenze all’interno di un gruppo, i più dotati della compagine e nella rosa della Fiorentina i tre calciatori con più talento potenziale sono proprio i tre nomi succitati. Che da tempo (e per motivi diversi) non mostravano appieno la loro qualità. L’altra sera in contemporanea li abbiamo rivisti eccome. Abbiamo rivisto Arthur salire sul podio del centrocampo con autorevolezza toscaniniana e, davanti a Milenkovic e Ranieri, chiamare palla senza paura, allungandosi e ritraendosi all’occasione, senza mai smarrire il senso della giocata o il tempo del lancio, in un unicum armonico che ha reso la Fiorentina melodica come non accadeva da almeno due mesi. Ai suoi lati in un ruolo insolito, ha cantato e portato la croce Jack Sparrow Bonaventura, un po’ mediano un po’ incursore, che ha fatto impazzire il dirimpettaio Guendouzi, uno che di solito non alza mai bandiera bianca e che invece ieri sera più di una volta è andato in affanno nell’inseguire gli slalom intonati del numero 5 viola. E, pur se solo a tratti, anche il tenore più tenore di tutti, ovvero Nico Gonzalez, ha mostrato lampi di quelle sue accelerazioni elettriche che inceneriscono l’avversario e che obbligano le difese avversarie a munirsi di estintori e di mille cautele per contenerlo. E forse è stato il destino a volere che il suo calcio di rigore ben battuto morisse sul palo, per consentire così alla partita di passare alla storia come vittoria epica ottenuta contro il fato avverso. Suggestioni dettate dalla felicità, certo. Ma il ritorno dei tre tenori è lo stesso il titolo giusto per raccontare una gara commovente che ribadisce alcune cose importanti. Ribadisce che nel calcio le idee sono una gran cosa, ma senza calciatori che le diano un senso, le solo idee non possano portare lontano. Ribadisce che se la rosa è al completo, la Fiorentina è ancora squadra di identità marcata e di carattere non banale, con un allenatore che è un di più e non un intralcio. Ribadisce, soprattutto, che la stagione viola non è finita né a Lecce né a Empoli, ma può riservare ancora sorprese piacevoli soprattutto nelle variabili di coppa. Qualcosa di impensabile se solo riandassimo all’umore collettivo della città appena 48 ore fa.


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