Sulla malattia
—"Nel 2019 ebbi tosse, raffreddore, febbre e la paralisi alle gambe. Scrissi un testamento in caso di morte. Per un mese non sono riuscito a camminare, poi il corpo ha creato degli anticorpi. É stato il periodo peggiore della mia vita. Chiuso in un ospedale in terapia intensiva, in un letto minuscolo. La famiglia e la fede mi hanno alutato, come il destino: nel 2016 ho scampato l'attentato sulla Promena-de des Anglais a Nizza per un ritardo del volo...".
Su cosa ha rappresentato la Fiorentina per lui
—"La consacrazione. Li sono stato uno dei portieri più forti del mondo. I fiorentini hanno capito subito che fossi un leader di personalità. Non eravamo la squadra più forte, ma il gruppo migliore sì. Ogni settimana andavamo a cena insieme, facevamo gruppo, stavamo bene. Se chiudo gli occhi ricordo gli amici, Toni, Mutu e gli altri, non una parata. Tutte cose che nel calcio di oggi sono quasi scomparse. Colpa di quei maledetti telefonini: i giocatori pensano solo a messaggiare".
Sulla delusione più grande e sulle offerte dell'epoca
—"La semifinale di Uefa contro i Rangers nel 2008. La metto anche prima dell'errore di Ovrebo col Bayern nel 2010, in Champions. Avremmo vinto sicuro. Eravamo fortissimi. Chi mi voleva in quel periodo? Milan, Bayern, Barcellona e Juventus. Ma non sarei mai andato: non potevo macchiare una storia d'amore passando dalla Viola a Torino. I tifosi mi avrebbero odiato. Sarei rimasto a vita, ma un dirigente scelse di farmi la guerra e andai a Genova".
Su Prandelli
—"L'ho avuto a Verona, a Parma e a Firenze. Da un punto di vista calcistico nulla da dire: il più preparato. (...) Abbiamo avuto qualche scontro, ma lo riabbraccio sempre volentieri".
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