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FLORENCE, ITALY - MAY 18: Pablo Mari Villar of ACF Fiorentina in action during the Serie A match between Fiorentina and Bologna at Stadio Artemio Franchi on May 18, 2025 in Florence, Italy. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)
Il difensore della Fiorentina, Pablo Marí, ha ripercorso le tappe della sua carriera ai microfoni di Fox Deportes, raccontando un viaggio calcistico segnato da esperienze internazionali, sacrifici familiari e ostacoli superati con determinazione.
“Giocare in cinque campionati diversi mi ha dato tanta esperienza e leadership,” spiega Marí. “Ho avuto l’opportunità di condividere lo spogliatoio con grandi compagni e allenatori. Cambiare così tanti paesi mi ha insegnato a capire meglio il gioco. Oggi mi è molto più facile leggere le situazioni in campo”.
Fin da piccolo, il calcio è stato il centro della sua vita:
“Da bambino passavo le giornate al parco con gli amici, o chiedevo a mio padre di restare a giocare con me. Il pallone era tutto.”
Il percorso comincia all’Almussafes, ma è il passaggio al Valencia a rappresentare il primo vero salto:
“I miei genitori facevano 45 minuti in auto per portarmi agli allenamenti. Un sacrificio enorme per loro. Dopo cinque anni lì, quando si è passati al calcio a undici, il club decise di lasciarmi libero. Così andai al Levante, dove mi allenavo la sera dopo scuola, sempre grazie ai miei genitori che mi sostenevano in tutto”.
A 13 anni, però, un grave infortunio all’anca rischia di mettere fine al sogno:
“Crescevo troppo in fretta, in un anno sono aumentato di 12 cm. Ogni volta che giocavo, poi dovevo fermarmi per 6-7 mesi. È stato così per circa un anno e mezzo. Ero scoraggiato e dissi a mio padre: ‘Se mi succede di nuovo, smetto col calcio’. Ma l’estate successiva sono passato al Maiorca, c’era anche l’Osasuna interessato, e i miei genitori mi hanno supportato ancora una volta.”
Dopo tre ottime stagioni al Tarragona – dove conosce anche sua moglie Veronica – arriva la chiamata del Manchester City, che però lo gira subito in prestito al Girona.
“Quell’anno fu molto duro: non giocavo mai. Ma è lì che ho imparato il valore del lavoro. Quando non giochi, pensi che non vali o che l’allenatore non ti voglia. Invece ho capito che, se dai il massimo, puoi guardarti allo specchio senza rimpianti. E se poi non giochi, almeno sai che non è colpa tua. Questa mentalità mi accompagna ancora oggi, anche nella vita quotidiana”
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