Passato da tennista in erba
—Ci sto ripensando, infatti. Magari adesso mi si riapre una carriera… Il tennis è lo sport che mi ha aiutato di più nella mia formazione, mi ha insegnato a responsabilizzarmi. Quando perdi una partita piangi, cerchi delle giustificazioni… il vento, la pioggia, la sfortuna. Poi capisci che è solo perché hai giocato peggio del tuo avversario. Nel calcio si gioca in undici, le responsabilità sono sempre condivise, nel bene o nel male. Io sono per i giochi di squadra.
E la nazionale?
—Me lo sono chiesto tante volte. È un obiettivo, un sogno grande. Giocare in Nazionale significa entrare nella storia. Ma ora che mi è successo quello che mi è successo, devo ancora capire bene quali siano le regole in proposito. Due scenari. Il primo: continuo a giocare a calcio. Il secondo: nel caso in cui non potessi più farlo, lotterei per per trovare un nuovo fuoco dentro di me, che mi possa rendere sereno. Quella è la cosa più importante. Il giorno in cui andando ad allenarmi non mi sentissi più felice, sarei il primo a dire "ciao a tutti". Scommetterei sul primo.
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