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Amatucci a VN: “Ognuno ha la sua strada, guardate Kayode. Arthur, roba mai vista”
Personalità, visione di gioco e grande pulizia tecnica. Lorenzo Amatucci, centrocampista classe 2004 di proprietà della Fiorentina e in prestito al Las Palmas, si è raccontato ai microfoni di Violanews. Una storia che parte dalle giovanili viola e prosegue oggi con l’esperienza alle Canarie, dove ormai è considerato un idolo dagli spagnoli mentre il futuro è ancora da dipingere. Un percorso fatto di attese, occasioni sfiorate e una nuova opportunità, che oggi diventa un vero banco di prova, animato da una profonda voglia di affermarsi. (QUI LA SECONDA PARTE DELL'INTERVISTA)
Ho finito tardi la scorsa stagione per il rinvio del play-out (Sampdoria vs Salernitana, ndr). La Fiorentina ha deciso di farmi iniziare il ritiro una settimana dopo per darmi più riposo. Parlando con la società abbiamo deciso che era meglio per me, se ne avessi avuta la possibilità, andare subito in prestito. Rimanere? Ci speravo, chi non vorrebbe giocare nella squadra in cui è cresciuto, con la famiglia vicino? Ma l'idea dell'esperienza all'estero mi piaceva, soprattutto in Spagna. Avevo proposte in Italia e in altri paesi, ma ho scelto la Spagna per come si vive il calcio qua.
Sono molto felice, non era facile riuscire ad ambientarsi subito. All'inizio ho avuto difficoltà, sia per la lingua che per il modo di giocare. Gli allenamenti sono molto differenti da quelli che facevo. Piano piano con dedizione, con impegno e costanza i risultati vengono fuori.
Parlo in generale, qua abbiamo un modo di giocare in cui siamo tutti molto stretti. Gli allenamenti di conseguenza sono uguali. Il mister ci fa fare esercizi in cui riduce molto lo spazio. C'è una grande densità di giocatori. Questo porta a un minor tempo di pensiero, a vedere prima la giocata. Se non sei abituato i primi tempi hai difficoltà. Io sono riuscito ad ingranare dopo la seconda settimana. Poi è stato tutto un continuo migliorare.
C'era un bel salto tra le due categorie. Il calcio della Primavera è un calcio tecnico, ma l'intensità, il contatto fisico, la furbizia di alcuni giocatori cambiano. Quando fai lo step devi azzerare il pensiero che hai di calcio. In Primavera c'era un gruppo con cui sarò legato per la vita, è difficile trovare altri compagni così. Poi arrivi in Serie B dove c'è gente di 30 anni, devi saperti adattare e non aver timore di far vedere quello di cui sei capace, questo è l'importante.
Io ho fatto bene, ma quando arrivi alla fine e perdi la partita più importante e retrocedi tutto passa in secondo piano. Ora so che mi è servita, sono riuscito a giocare bene. Ma dentro ti rimane, è una delusione per noi e anche per i tifosi, mi dispiace più per loro. Io alla fine ero in prestito. Soprattutto a Salerno, per come è andata è stata tosta.
Oli è un tipo forte, è difficile descriverlo. E' un po' pazzo, non poteva che essere un portiere. E' una persona d'oro. Con lui ci sono stato poco a Firenze, a Salerno ho potuto conoscerlo meglio. Mi sono trovato bene sia fuori che dentro il campo.
Non potevo esordire in uno stato migliore. Gran parte della mia famiglia tifa Milan, San Siro è lo stesso stadio. Della partita mi ricordo poco. Ho realizzato dopo, in macchina: ho chiamato tutti. E' stato bellissimo, piano di persone. In quel caso il risultato passa in secondo piano, non mi sembrava nemmeno di stare 4-0 (per l'Inter, ndr).
Era il momento in cui mi allenavo in prima squadra, ma non riuscivo a trovare spazio e scendevo in Primavera. Lui mi parlava e mi ha raccontato la sua storia, anche lui ci è passato. Mi diceva di continuare e mi ha suggerito di andare a giocare in prestito. Come idea di gioco e quello che ti trasmette, la fame, la voglia che ha. Ti trasmette la sua passione, è ossessionato dal calcio. Mi piace questo tipo di allenatore.
Arthur è quello che mi ha colpito di più. Io sono uno a cui piace rubare palla, nell'intercetto. Mi ricordo una volta mi fece una finta e io andrai a dritto. Non mi era mai capitato così. Da lì mi sono detto: quando vai su di lui aspetta. Mi ha impressionato, non a caso giocava a Barcellona. Era un bel gruppo, noi giovani stavamo più con i sudamericani. Tutti ti aiutavano se vedevano che avevi l'atteggiamento giusto. Se non ce l'hai vieni ripreso, come è giusto che sia. Andare lì era un'opportunità e andavo sempre al massimo. Non ho avuto problemi con nessuno.
Kayo, lo sta dimostrando, è un grande giocatore. Ha fisicità, ha corsa, è straripante. Io l'ho visto all'inizio e faceva fatica, ma si è allenato e si impegna tantissimo. Forse è quello che è migliorato più di tutti con il pallone. Ha avuto la sfortuna di avere davanti un altro grande giocatore come Dodò. Alla fine tra i due hanno scelto lui. Però ognuno ha la sua strada, anche se magari non è quella che sperava. Kayo è felice, ci sentiamo spesso e sta facendo un bel campionato.
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