Sei attualmente la seconda giocatrice per occasioni create in Serie A, con un totale di 27, seconda alle spalle di Manuela Giuliano con 32.
—Non lo sapevo, ma penso che sia un dato interessante perché alla fine il mio lavoro è precisamente quello: aiutare la squadra ad attaccare di più e ad attaccare meglio. Quando gioco bene aiuto in modo naturale la squadra, ma il discorso vale anche al contrario.
Questa è la tua miglior stagione in assoluto?
—È difficile comparare questa stagione con altre avute in carriera perché per anni ho giocato tante partite tra Champions, campionato e Nazionale. Adesso a Firenze sono più concentrata sul campionato, ho più tempo per prepararmi solo per una partita e questo evidentemente è un vantaggio. Mi fa piacere vivere una buona stagione, un buon momento, perché è più facile quando hai 25 anni di quando ne hai 30. Con l’età riesci a capire meglio le cose tatticamente e questo ti dà qualcosa in più ogni volta che hai la palla.
Dal tuo punto di vista perché sono così poche le giocatrici italiane che tentano l’esperienza dell’estero?
—Penso sia per una questione culturale. Già il fatto che in Italia in pochi parlano altre lingue rappresenta una difficoltà. Poi penso che sia difficile per loro perché c’è molto attaccamento al cibo e alla cultura di questo Paese. Ogni anno il livello di talento delle calciatrici italiane è sempre più alto, credo che debbano solo avere meno timore di uscire dalla loro comfort zone.
Cosa ha portato di diverso sul piano tecnico De La Fuente?
—È difficile confrontare gli allenatori. Sia Patrizia Panico, sia Sebastian De La Fuente sono allenatori forti che amano il gioco offensivo. Credo comunque che De La Fuente abbia portato un po’ di tranquillità e un nuovo entusiasmo. Sul piano del gioco cerchiamo di stare più unite in difesa e tentiamo più spesso la verticalità, pur mantenendo il possesso del pallone. Da metà campo in poi De La Fuente lascia libertà e creatività alle singole giocatrici, è il tipo di gioco che piace fare a un allenatore argentino.
In futuro ti piacerebbe allenare? Che allenatrice vorresti essere, ma soprattutto, quali sono gli errori che non vorresti commettere?
—Io voglio diventare allenatrice proprio per tutti gli allenatori terribili che ho avuto. Devo dire che ho imparato molto sia dai più bravi sia dai meno bravi, però per me la cosa più importante per allenare è avere una conoscenza approfondita del calcio. Il livello umano è altrettanto importante perché bisogna saper gestire un gruppo fatto da persone con esperienza e background diversi.
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