Di seguito pubblichiamo la toccante lettera scritta da Riccardo Saponara, sulle colonne di Cronache di Spogliatoio. Il giocatore dello Spezia, molto legato all'eterno capitano della Fiorentina, ricorda Davide Astori con parole meravigliose:
ex viola
Saponara commuove nel ricordo di Astori: “Saresti fiero di me Davide”
Riccardo Saponara, oggi allo Spezia, ricorda il compianto capitano Davide Astori, in una lettera carica di emozioni
Un calciatore atipico
"Conta su di me"
Sono passati tre anni e mi manca la tua spalla. Eravamo seduti accanto in sala pranzo, e sai che spesso mi appoggiavo a te come si fa con un fratello maggiore. Mi hai dimostrato di essere una persona unica, un leader diverso. Come quella volta in cui ho firmato con la Fiorentina. Il Team Manager mi inserì nel gruppo WhatsApp ed ero soltanto un numero nella rubrica di molti, come accade quando si cambia squadra. Un +39 anonimo dentro a un cellulare. E invece no: tu chiedesti il mio contatto e mi scrivest
Il vuoto
Sapevi motivare, sapevi riprendere, sapevi quando arrabbiarti, sapevi quando scherzare, e come farlo. Come quel sabato sera a Udine. Io, te e Marco (Sportiello, ndr) a cazzeggiare. Abbiamo parlato un po’ e poi vi siete messi a giocare alla Play. Maledetti. Lo sapevate che non mi piaceva giocarci, vi odiavo quando vi piazzavate davanti a quello schermo a urlare come pazzi incollati a FIFA. Quindi me ne andai in camera. La mattina scesi per fare colazione. Vidi le tue scarpe appoggiate fuori dalla camera di Marco. Se le sarà dimenticate lì ieri sera, pensai. Le tue posate, il tuo piatto e il tuo tovagliolo erano intatti. Strano, eri sempre il primo. Sarà stato un cameriere a cambiare il coperto.
Il dolore e lo sfogo
Lo sfogo della consapevolezza è arrivato durante la camera ardente a Coverciano. La famiglia aveva designato poche persone per un ultimo saluto prima dell’apertura al pubblico. Ebbi l’opportunità di salutare Davide prima che il feretro venisse chiuso. C’erano alcuni compagni di squadra, altri della Nazionale, come Daniele De Rossi, e qualche amico. Il suo corpo era coperto di ematomi, non era più lui. Io avevo gli occhi gonfi di lacrime, non riuscii neanche a vederlo in modo nitido. Lì ho capito quello che era successo, al dolore si è aggiunta la consapevolezza che non saremmo stati mai più insieme a guardare quel film o a mangiare in quel ristorante in cui dovevamo andare. Mi ero scaricato a livello nervoso.
Il saluto del Capitano
Non mi sono mai spiegato perché la gara contro il Benevento non sia stata rinviata dopo quella settimana devastante. Il fischio finale fu una liberazione, la fine di quel calvario durato 7 giorni. Un mix di tristezza e risonanza mediatica che non ci permise di avere privacy durante l’elaborazione del lutto. Giocare quella partita era l’ultimo desiderio di ognuno di noi. Ma fu anche l’inizio di una cavalcata incredibile all’inseguimento della qualificazione all’Europa League dopo una stagione anonima. Ogni lunedì Pioli, in palestra, analizzava il weekend e toccava i punti giusti. Si era creato un legame quasi ascetico. Nel nome di Davide. Non era facile parlarne, ma attraverso il ‘Saluto del Capitano’ trovammo il modo per onorarlo e rivivere la sua essenza.
Le sue doti umane erano innate. Se stavi facendo un esercizio e accanto a te c’era un ragazzo straniero, che non conosceva la lingua, correva a rompere il silenzio inventandosi parole e facendolo sentire a suo agio. Poteva non parlare la lingua del compagno, ma non faceva alcuna differenza. Finiva tutto con una risata. Era il collante. Il leader che non ha bisogno dell’ufficialità della fascia per essere riconosciuto. In quella squadra così multietnica, lo spogliatoio non si era amalgamato automaticamente all’inizio. Il suo intervento fu fondamentale. E quando venne a mancare ci accorgemmo di quanto fosse pesante la sua presenza. Solo quando perdi qualcosa ti accorgi del suo reale valore, è vero, ma la sua forza era indiscutibile. E così sarà per sempre.
«Vengo a prenderti, andiamo insieme».
«Saresti fiero di me»
Sai, qualche giorno fa saresti stato fiero di me. Agudelo, un mio compagno che viene dal Sud America come tanti dei nostri amici alla Fiorentina, ha discusso con il mister durante l’allenamento. E si era offeso. Era stato escluso dalla partitella e, dopo qualche minuto, il preparatore gli ha restituito la casacca per tornare in campo. E lui no, non voleva. Se l’era presa. Allora gli ho detto: «Dai, non fare così. Torna in campo e basta». Con i tuoi modi, quelli giusti per non creare un precedente. Negli spogliatoi era ancora arrabbiato. Ma io non volevo che quel comportamento lo rovinasse. L’ho preso da parte: «Ascoltami. Sai che devi ritenerti fortunato? Il mister si è incazzato, ti ha escluso, e dovresti essere orgoglioso di lui. Cosa avresti voluto? Uno che non ti dice nulla, fa finta di niente, e la domenica ti lascia in panchina senza spiegazioni? Senza che tu possa capire i tuoi errori e migliorare? Devi ritenerti fortunato, lo avrei voluto incontrare anche io da giovane un allenatore così». Non mi ha risposto. Il giorno della partita ero nello spogliatoio e mi stavo lavando i denti, l’ho visto entrare: «Riccardo, avevi ragione. Ti devo ringraziare, oggi gioco titolare». Grazie Asto, ti voglio bene.
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