Matteo Magrini ripercorre il cammino fiorentino di Vincenzo Italiano e auspica mosse concrete da parte della società viola come anticipato da Pradè.
Tutto era iniziato in un caldissimo giorno d'estate. Sole cattivo, e clima pesante. Erano giorni complicati, per la Fiorentina. Giorni nei quali ci si interrogava sul perché dell'ennesima annata vissuta con la tristezza nel cuore e, soprattutto, sui motivi che avevano portato un allenatore (Gattuso) a salutare la compagnia prima ancora di cominciare. Ti guardavi intorno, e non vedevi che macerie. Non c'era una base tecnica sulla quale costruire, la gente si era abituata alla mediocrità e nessuno, ma proprio nessuno, capiva come sarebbe stato possibile ripartire.
Una squadra temuta
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Poi, all'improvviso, Italiano. Una scelta quasi casuale, ma che tre anni dopo si può serenamente definire come la migliore della gestione Commisso. Un “terremoto”, l'arrivo del mister. Entusiasmo, ambizione, coraggio, orgoglio. Bastò ascoltarlo, in quella mattinata al Piazzale, per capire che qualcosa di nuovo (e di bello) stava finalmente riempiendo il nulla. “Voglio che la Fiorentina torni ad essere una squadra temuta e riconoscibile da tutti”, disse. Tre anni dopo, e nonostante la lacerante delusione per quanto successo ad Atene, la missione si può dire compiuta. O qualcuno può negare che questa squadra non abbia ritrovato un'anima e che, soprattutto, non abbia girato l'Italia e l'Europa mostrando sempre (tranne che nella finale con l'Olympiacos purtroppo) la propria identità. Si può dir tutto, su questo ciclo e su questo allenatore, ma credo che sia impossibile non riconoscergli il merito di aver riportato il calcio a Firenze.
Le due velocità
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Ha commesso errori? Ovviamente sì. Poteva gestire diversamente alcune partite? Come no. Nel complesso però Italiano ha migliorato tutto quello che ha toccato e fin dalla prima stagione ha portato il gruppo oltre i propri limiti. Ecco. E' proprio questo il punto. La Fiorentina infatti non è riuscita ad andare di pari passi col lavoro che veniva fatto sul campo. Di fatto insomma, siamo tornati alle “due velocità” di cui parlò anni fa Cesare Prandelli. Squadra, allenatore e staff correvano, il club camminava. Pensateci. Soprattutto, pensate alla formazione della prima stagione e poi prendete in mano quella che ha appena chiuso il 2024. Qual è più forte? Nella migliore delle ipotesi, e sarebbe comunque una constatazione abbastanza deprimente, si può dire che il livello medio dei viola sia sempre rimasto quello. Nella peggiore, ed io sinceramente credo più a questa, si può sostenere che negli undici titolari la Fiorentina sia addirittura peggiorata.
Rimpianto e rischio d'impresa
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E' questo, l'enorme rimpianto. E' il pensiero di aver sprecato (più volte, l'ultima a gennaio) l'occasione per fare davvero un salto in alto. Sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato che il club avesse lo stesso coraggio del suo allenatore. Sarebbe bastato aver voglia di rischiare, a costo di “essere infilati in contropiede”. Soltanto così, si può pensare di crescere. Si chiama “rischio d'impresa”, ed un imprenditore come Rocco Commisso dovrebbe sapere di cosa si tratta. Sia chiaro. Ciò non significa (e nessuno l'ha mai chiesto) spendere centinaia e centinaia di milioni o non fare attenzione ai bilanci. E' giusto tenere i conti in ordine, ma lo si può fare anche alzando l'asticella. Come? Programmando, e portando la competenza al potere. Il Bologna, tanto per fare un esempio, non ha speso più della Fiorentina. Semplicemente, ha speso meglio.