Contropiede: sintomo della ricerca di verticalità. Quanti contropiede nitidi abbiamo visto nella gestione Italiano? La maggior parte delle partite si basavano sulla ricerca della combinazione giusta per sorpassare la muraglia difensiva avversaria, ferma, immobile, schierata sul limite dell'area. Tanto possesso, tanto giro-palla, ma, di rado, quella muraglia veniva scardinata. Il problema sono i giocatori? Forse; fatto sta che il problema del gol è quasi sempre stata un costante nel triennio di Italiano. Non si è mai veramente capito il perché di tale dislivello tra possesso palla e reti realizzate. Un dubbio che mai si riuscirà probabilmente a chiarire.
Tornando all'azione, 3 contro 3. Palla a centrocampo sui piedi di Carlo Augusto, che ha tagliato in mezzo e liberato lo spazio a sinistra per Caprari. Palla laterale per il 17 che, senza esitazione, punta la difesa avversaria. Tocco d'esterno per chi? Ancora Carlos Augusto, che ha riempito l'area insieme ad altri 4 compagni. Tocco di prima del brasiliano per Pessina, arrivato in una corsa da almeno 60 metri (tutto questo al 18', non all'ultima azione della partita). Stop in corsa, pallonetto; palla che diventa buona per Dany Mota che scaraventa a rete.
In pochi frangenti di secondo, sono stati coinvolti l'esterno a tutta fascia, il trequartista, la mezzala e la punta, per una rete praticamente da incorniciare. Parliamo di un modulo duttile, che lascia molta interpretazione del ruolo ai giocatori in campo, soprattutto davanti. Esterni che entrano dentro, mezzali che si inseriscono, trequartisti a lavorare sulla trequarti e un 9 a fare da sponda.
Forse è questa la libertà che è mancata nel triennio di Italiano. In un 4-3-3, gli esterni sono obbligati a fare la fase difensiva, quindi a sprecare energie e, quante volte abbiamo visto poca lucidità là davanti? Un esempio? Kouamè contro l'Olympiacos. Tanto lavoro, tanto sacrificio, ma quando si arriva davanti allo specchio, sembra sempre mancare qualcosa proprio in fantasia e lucidità.
Tanto si è parlato della richiesta di Palladino di un 'attaccante stile Djuric', ma ha già dimostrato di saper lavorare anche con ben altri tipi di attaccanti e trequartisti. Ha rivitalizzato un Caprari 'perso' dopo la stagione da 12 gol e 7 assist s Verona; ha creato valore in un giocatore come Dany Mota, definito da prima da molti 'non di categoria', per non parlare di Colpani e Valentin Carboni. A rigor di logica, un cambio del genere può solo che dare lustro ad un giocatore come Beltran su cui è stato fatto un grande investimento, ma che con Italiano non ha mai trovato la sua vera posizione in campo.
Che sia la fantasia garantita da Palladino, la chiave per rivitalizzare la fase offensiva della Fiorentina? Certo, Ancelotti ci ha vinto così giusto un paio di Champions, ma parliamo di ben altri giocatori; ma, con questo modo di intendere calcio di Palladino, e con la promessa di Pradé di un grande attaccante, perché non aspettarsi una Fiorentina del genere?
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