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La nuova rubrica

Viva le Facce da quarto posto

Marco Bucciantini
Il primo racconto di Marco Bucciantini per la sua nuova rubrica "Belcalcio", in esclusiva per Violanews
Marco Bucciantini

La stagione è cominciata con gli stacchi di Nico Gonzalez, colpitore elegante su in cielo, danzatore precario giù in terra, perfetta immagine di un popolo che vuole volare ma che non è certo della sua forza, continuamente minacciata dagli acciacchi. Il sogno è stato arricchito dalla sensibilità di Jack Bonaventura, l'uomo che giocava le partite in sogno, nella vigilia: l'indomani sapeva in anticipo dove andare, come fosse sempre in possesso della mappa della partita che altri, intorno a lui, stanno cercando, giocando e soffrendo. Tutto sembrava aver trovato il suo manifesto nella partita di Napoli che fu così bella, così intera, così “programma” di pensiero, di lavoro d’insieme, di fede in quel lavoro, e così permeata di intenzioni e di qualità che - succede - fu ideale per deludere, nel successivo mese, quando di quello splendore ero rimasto solo il disegno, il pensiero.

Forse quei giorni sono stati decisivi: il quarto posto di oggi comincia con quel reagire all’attrazione ripetitiva del vorrei ma non posso, al cullarsi del pensiero forte che anima la squadra e può diventare per se stesso sufficiente, assolutorio, lasciarsi travolgere dalle sempiterne, esagerate, spesso stupide polemiche che ormai circondato l’agire, il fare di ognuno, in questi tempi che i coglioni considerano paritari ma paiono soprattutto volgari.


La Fiorentina vuole e può, accetterà l’insuccesso solo quando sarà finita la partita, la corsa, la stagione. In quei giorni - e fino a San Silvestro - il gruppo ha trovato un legame con la partita che a volte era mancato, andando oltre l’affermazione della sua identità e la dimostrazione di una mentalità coraggiosa e determinante: per dirla con un’immagine di don Milani, la Fiorentina ci “teneva” non solo a se stessa ma a quel residuo di verità che lo sport ci permette: la competizione, il prevalere, il misurarsi con gli altri, con le difficoltà, con gli attriti, con la sfortuna e la fortuna, con tutto e tutti.

Gli ultimi nove punti hanno un’origine diversa, inferiore nello stile ma superiore nell’anima. Non è meno e non è poco, anzi. Sono cambiate le facce: hanno la grinta di difensori che non dovevano esserci, hanno perfino gli strani baffi di gente del mestiere che ha saputo credere in se stessa e nel proprio sogno, hanno la mascella imberbe di ragazzini appena maggiorenni che aggiungono un entusiasmo pre-teorico: vanno. Dietro, si affacciano i volti di attaccanti attesi, scrutati con la mano sulla fronte a mo di visiera (dove sono?) e finalmente visibili in fondo al viale: affrettate il passo, però, che qui c’è bisogno (avete mai visto uno che ci tiene tanto come Kouamé, per esempio?).

Due finali giocate, un quarto posto provvisorio, la qualificazione da primi alle fasi finali di Conference, la navigazione in Coppa Italia: il 2023 della Fiorentina si può raccontare da punti di vista discosti (a ognuno le sue pretese, a ognuno il suo fico e la sua ombra) ma non possiamo allontanarci dalla realtà per puro spirito di contrasto, per marcare con la polemica la propria esistenza. È una squadra, un’avventura che sta ritrovando il suo posto, riguadagnando le quote perdute, risalendo un immaginario nel calcio italiano ed europeo. Vincenzo Italiano usa spesso l’orizzonte come obiettivo infinito, perché lo è la sua voglia, la sua spinta, la sua necessità di migliorare gli altri per sentirsi migliorato lui stesso. L’orizzonte è l’utopia di quella passeggiata di Eduardo Galeano: si sposta in avanti, ti fa camminare in avanti. Ognuno resti delle sue sacre opinioni ma questa camminata viola, questo proposito è evidente, incontestabile. Trainata dalla scelta più virtuosa degli ultimi anni, quella che ha portato lo stesso Italiano a Firenze, tecnico capace di imprimere un destino, una rotta a una comunità, allenatore che vive l’andatura di poppa come sua: dunque serve il vento, e lui soffia di sicuro. E allora l’orizzonte si avvicina. Ma questo positivismo, questo manifesto futurista ha nascosto perfino i pregi di guizzi diversi, di strambate, di boline: l’ultimo mese di partite ce l’ha restituito. Italiano non è un tecnico che indugia nelle spiegazioni di quello che fa. Sembra sempre perennemente proiettato sul lavoro, come se la stasi di una esposizione teorica fosse appunto un ristagno dell’azione e al tempo stesso inutile, davanti all’evidenza di una squadra che in ogni partita si denuda, si mostra tutta, sia nel bene che nel male. Scusate ma in questi tempi sopra abbozzati la preferenza va a chi si trova maggiormente a suo agio in un campo di lavoro che davanti a un microfono, dove si esibiscono allenatori ormai ridotti alla sola performance mediatica.

Trovare una concordia oggi è difficile, per la ripetuta necessita di esistere e la convinzione di essere visti solo se si alza il dito indice. E per la fondamentale e imprescindibile diversità del pensiero - non siamo certo affascinati dall’autoritarismo, sia chiaro. Ma trovare una squadra è altrettanto difficile, perché oggi far vibrare insieme un gruppo è un progetto messo a repentaglio da tante corruzioni: i tifosi lo sanno più di tutti. La Fiorentina è squadra: questo è il legato di questi anni recenti. Dove si alternano i protagonisti ma resta tenace l’idea che ognuno provveda per tutti, in un’associazione solidale.

Scrivo questo per un bisogno di gratitudine, nei giorni in cui comincia il mercato e giocoforza mortificheremo i protagonisti chiamando alla causa ogni giorno nomi nuovi che ci sembreranno giocatori migliori di quelli in organico soprattutto per questo pregio di novità. Qualcuno arriverà e un altro pregio di questo allenatore è mostrare esattamente quali sono i ruoli, i compiti e dunque le necessità di rimediare e le possibilità di migliorare. Chiunque sarà, parteciperà a questa squadra, a questa bella classifica, alle coppe, al sogno. Costruito da queste facce qui, da questi atleti e da queste persone che avevano a cuore questa squadra.

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