Certo, l'ennesimo rigore sbagliato pesa come un macigno e non si può non partire da lì per cercare di spiegare quanto successo. Anche quello però, non è che uno dei sintomi di questa “malattia”. In un periodo così infatti, e con quanto successo nei precedenti tiri dal dischetto, quei palloni pesano quintali e per non finirne schiacciati servono quintali di carattere e personalità. E guarda un po', da quando i rigori sono diventati così particolarmente complessi da gestire dal punto di vista mentale, la Fiorentina non riesce più a buttarne dentro uno.
Già, la personalità. Parolina magica, della quale ci siamo occupati spesso. Perché per diventare grande squadra non serve solo qualità. Servono calciatori che sanno leggere i momenti e che, da soli, si assumano la responsabilità di fare la scelta giusta. E' questo il vero nodo della questione. Basta pensare a Duncan e a quell'inspiegabile lancio per Nzola quando avrebbe dovuto tenere il pallone. Oppure a Nzola che a Lecce regalò palla ai giallorossi. Il problema, e la partita con la Roma ne è stata la perfetta rappresentazione, è quello che stiamo provando a spiegare da un pezzo. Fino a che la squadra può aggrapparsi al gioco, all'organizzazione e alle conoscenze che le ha donato Italiano sa esser competitiva anche con formazioni più forti di lei. I guai invece iniziano quando la mano dell'allenatore non conta o, comunque, incide molto meno. Momenti della gara nei quali dev'essere il singolo a incidere. E se il livello medio dal punto di vista individuale è al più buono e in qualche caso tendente verso il basso il risultato, purtroppo, non può che esser quello visto domenica sera.
Quando vi chiedete come mai ci fermiamo sempre sul più bello insomma, provate a fare questa riflessione. Provate a chiedervi, per esempio, cosa sarebbe successo se al posto di Duncan ci fosse stato, che so, Koopmeiners. O se là dietro su quell'ultimo pallone in area ci fosse stato un Buongiorno. Si chiamano “categorie” e, prima o poi, peseranno. Sempre. Noi però “siamo la Fiorentina”. Una squadra che secondo qualcuno in società è già pronta per giocarsi la Champions ma che, puntualmente, smentisce le convinzioni di quei dirigenti. Eppure, a gennaio, sarebbe bastato poco per fare almeno un piccolo passo in avanti. Chiamatela presunzione o, se preferite, parlate di errori di valutazione. Il succo non cambia. “Noi siamo la Fiorentina” e ad un certo punto, nonostante gli sforzi di allenatore e giocatori, i valori presentano il conto.
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