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Milan 23/24 vs Fiorentina 24/25, due mondi diversi: il paradosso tattico di Pioli
Stefano Pioli torna a Firenze con un curriculum da “grande allenatore”: uno Scudetto, un ciclo costruito e compiuto con il Milan, una parentesi esotica in Arabia, e ora un contratto triennale che dovrebbe segnare un nuovo inizio in viola. Ma la domanda, per quanto scomoda, sorge inevitabile: Pioli arriva per essere l’architetto di una nuova identità tecnica, oppure solo il nome giusto per placare un ambiente deluso? La separazione con Palladino, arrivata appena un mese e mezzo fa e non per stretta volontà della società, lascia sospesa questa ambiguità. E invita a guardare al campo per trovare una risposta.
Perché se il nome è di alto profilo, il contesto tecnico che Pioli eredita è, forse, quanto di più distante ci sia da quello che ha lasciato a Milano. Il suo ultimo Milan, 23/24, era una squadra costruita per comandare il gioco, non per reagire. Una squadra che nella costruzione dal basso trovava la sua anima e nella pressione alta la sua forma d’aggressione. A Firenze, invece, si trova un gruppo che ha imparato a galleggiare più che a dominare, a gestire e speculare più che a imporsi. Una squadra che spesso ha giocato (solo) d'inerzia.
Il Milan di Pioli, soprattutto nell’ultima fase, era diventato una macchina pensata per uscire pulita palla al piede, manipolare le pressioni avversarie e costruire superiorità tra le linee. Non si trattava solo di palleggio, ma di un sistema (sottovalutato) in cui ogni rotazione aveva un senso: i terzini che si stringevano per dare appoggio interno, il portiere (Maignan) che diventava regista aggiunto, i centrocampisti che salivano per accorciare la squadra e liberare spazi alle spalle (la costruzione 2+3, 4+1 o 3+2). Era una squadra tecnica, fluida, verticale. Una squadra che voleva portare il gioco dove decideva lei.
Alla Fiorentina, questo tipo di impostazione semplicemente, ad oggi, non c'è. Né nelle idee assimilate dalla squadra, né nella scelta degli uomini. Palladino, soprattutto dopo il passaggio alla difesa a tre, ha lavorato su una filosofia opposta: abbassare il ritmo, sfruttare la corsa più che il palleggio, e la giocata verticale (bassa o alta che sia) su un indispensabile Kean. Nella scorsa stagione, la Viola ha alternato momenti di possesso a lunghi tratti di attesa. Non era raro vedere il portiere rinviare lungo per aggirare la prima pressione, o i difensori scaricare lateralmente senza un reale obiettivo offensivo. Più che una costruzione, una scorciatoia.
Speculare è sbagliato? No, ma è una chiara scelta di gioco. La classifica e i risultati parlano per la Fiorentina (fortuna o meno). Allo stesso modo, però, parlano anche le (enormi) difficoltà venute fuori contro i vari Lecce, Monza, Venezia eccetera. Palladino le ha riconosciute e notate, ma mai veramente risolte (basta ricordare la partita di fine stagione, determinante, al Penzo).
Pioli dovrà quindi rompere un suo costrutto? Ma può farlo? E soprattutto: ha gli strumenti per farlo?
De Gea garantisce personalità ed esperienza, ma è più un portiere vecchio stampo (non che sia una pecca, anzi) che un portiere moderno. Pongracic è forse l’unico centrale in grado di gestire il pallone sotto pressione, ma accanto a lui la sicurezza tecnica è limitata. Mandragora è (ad oggi) l’unico regista vero e Comuzzo non ha mai dato grosse garanzie in questo senso.
Anche in fase difensiva, le distanze sono ampie. Il Milan era una squadra aggressiva, che portava pressione alta in modo sistematico, strutturata per forzare l’errore avversario. Aveva interpreti adatti per reggere l’uno contro uno a campo aperto (anche a costo di prendersi vari rischi, il Milan secondo in quella stagione ha subito più gol della Fiorentina ottava).
La Fiorentina di Palladino, al contrario, ha sempre preferito il blocco medio, la prudenza, l’attesa. Nelle partite contro avversarie superiori, ha saputo difendersi con ordine, ma al prezzo di perdere campo e iniziativa. L’idea di difendere in avanti (non sempre l'ideale), per questa rosa, è spesso stata utopia. Per trasformarla in realtà, servono non solo principi, ma anche gambe e coraggio. E tempo.
Pioli lo deve fare obbligatoriamente? No, un "grande allenatore" è in grado di adattarsi ai giocatori a disposizione. Però, ascoltando anche le dichiarazioni del tecnico in conferenza stampa in cui parlava di Allegri e di Champions League... insomma, prendere come riferimento il suo ultimo Milan (che ha chiuso secondo a 75 punti) è sicuramente un buon metodo di paragone, per quanto le rose siano a livello di interpreti molto diverse.
Ecco, quindi, dunque il paradosso: Pioli arriva da un Milan che aveva imparato a pensarsi protagonista, e trova una Fiorentina che si è strutturata per essere comprimaria. Dove a Milano si costruiva per comandare, a Firenze si gioca per sopravvivere. Dove il Milan difendeva aggredendo, la Viola si proteggeva abbassandosi. Per Pioli non sarà una questione di adattamento modulo per modulo, ma una riscrittura totale o almeno in parte (si presume) dell’approccio al gioco.
Eppure, proprio in questa frattura può nascere la svolta. Se Pioli saprà portare dentro la Fiorentina anche solo parte dell’identità che ha dato al Milan, un’identità basata sul coraggio, sulla pulizia tecnica, sull’aggressione strutturata, allora avrà vinto la sfida. Ma se proverà a calare il suo modello senza considerare i limiti tecnici e mentali della rosa, rischierà di trovarsi con una squadra a metà, incapace di essere reattiva come prima, ma anche inadatta a diventare dominante (forse paradossalmente il "non gioco", per molti, della Fiorentina nella scorsa stagione, ha favorito e dato protagonismo ad un giocatore come di profondità come Kean).
Il vero banco di prova non sarà il modulo, né i risultati delle prime giornate. Sarà la capacità di costruire un determinato tipo di gioco. Vedremo un Pioli camaleontico o un Pioli rivoluzionario? C'è tanta curiosità. Le prime amichevoli ci aiuteranno a capire la direzione tecnica di questa nuova (e forse veramente ambiziosa) Fiorentina.
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