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L'INTERVISTA

Bucciantini a VN: “Pioli una fideiussione. Dimensione 6° posto? Dipende da Rocco”

bucciantini intervista
L'opinionista di Sky analizza per noi l'addio di Palladino, la contestazione a Pradè e gli orizzonti futuri della Fiorentina
Simone Bargellini Vice direttore 

Sono passati solo 10 giorni dalla fine del campionato ma sembra trascorsa una vita. Perchè nella Fiorentina è successo di tutto. E allora abbiamo interpellato il bravissimo Marco Bucciantini per fare una (lunga) chiacchierata sulla stagione appena messa alle spalle, sulla contestazione alla dirigenza e ovviamente sul prossimo allenatore. A seguire le sue dichiarazioni per Violanews.com.

Partiamo dalla panchina viola, con Pioli che sembra vicino. E' l'uomo giusto?

"Stefano Pioli è adesso - per tutti - un’appoggio necessario. Assicura la nobiltà del mestiere, posizione che ha rafforzato dopo Firenze e non solo con il capolavoro dello scudetto milanista (anche le 3 qualificazioni alla Champions intorno al titolo oggi sono riconsiderate). Ai tifosi permette anche di rimediare a considerazioni un po’ frettolose quando riuscì a dare significato alla coda dell’esperienza dei Della Valle a Firenze. Per la società è una “malleva” sulle responsabilità del recente addio di Palladino e su eventuali obiezioni future. In generale tiene la Fiorentina su un livello: anche per questo serve. È una specie di fideiussione con le nostre ambizioni".

Conosciamo già bene Pioli, ma mi sembra evidente che rispetto al 2019 si sia evoluto come proposta di calcio, sei d'accordo?

"Sì, mi piace la sua bravura e velocità nel trovare la polpa delle squadre, nell’allineare un progetto, nell’organizzare un gruppo per far emergere i punti di forza. Non è assiomatico: capisce in fretta il modo più efficace di progredire in campo e arrivare al tiro, e sistema la squadra di conseguenza (è diverso se bisogna esaltare Leao e Theo su una fascia o - ricordate? -mandare al tiro Veretout da dentro il campo). Il suo Milan era quell’armonia fra i rigori dell’ordine e i piaceri dell’anarchia e della libertà, per citare i pensieri di un morente imperatore in un capolavoro della letteratura. A Pioli capita spesso di essere riconsiderato, a distanza di tempo: magari questo a lui secca un po’, ma per me è ulteriore testimonianza di bravura".

Per curiosità, visto che nel calcio non si sa mai, se non fosse Pioli su chi punteresti?

"Mi piacerebbe un allenatore “riconoscibile”, come fu Vincenzo Italiano. E allora vorrei tornasse in Italia uno dei tecnici migliori che abbiamo, Roberto De Zerbi, scolpito ormai da esperienze solide, e animato da un fuoco inesauribile. Mi piacerebbe avesse (l’avrà presto, ne sono sicuro) una possibilità in Serie A Guido Pagliuca, un tecnico che entra dentro le squadre, le conforma alla sua passione, alle sue conoscenze. Serve coraggio e curiosità, ma non esiste niente di più utile per migliorare del coraggio e della curiosità".

Marco con te vorrei fare anche un passo indietro e chiederti cosa ne pensi della stagione appena conclusa

"Certo che bisogna guardare indietro, a queste ultime settimane. Divorate dalle notizie e per questo sfuggite alla cosa più seria che sarebbe dovuta irrompere nella discussione: l’analisi. È stata una stagione controversa, chiarita dai numeri ma non illuminata dalla condivisione. Così il tempo per un’analisi seria, profonda è mancato, sormontato dall’analisi settimanale, dal malumore che faceva il pendolo ogni partita, da un rapporto che non si è riusciti a creare fra le varie componenti - allenatore, società, tifosi. Oggi è deflagrato questo malumore, in ogni direzione e dunque la prima cosa da dire è che non si è stati capaci di prevederlo, sanarlo. Forse capirlo".

E nel merito della stagione, sono più i rimpianti o le cose positive?

"La stagione ha portato la Fiorentina al suo massimo, continuo a leggere di una Champions possibile e mancata ma a me pare un comodo alibi per certi giudizi cinici e spesso irrispettosi che non vogliono arrendersi ai 65 punti, per esempio. Però è indubbiamente mancata una forma soddisfacente e riconoscibile di gioco per il suo protagonismo, e questo ha cariato il lavoro di Palladino. Non discuterò mai questo desiderio collettivo alla bellezza, associata all’energia e alla voglia di attaccare, perché per me la bellezza in un gioco di squadra è forza, è autentica forza. Non è estetica: è etica (perché per essere belli, fluidi, incessantemente propositivi bisogna lavorare molto). Ma se ripensiamo ai sussurri verso Italiano, non c’è coerenza nel comportamento, non c’è stata in questi anni a Firenze".

Rimane il rammarico per i tanti punti persi con le piccole, non trovi?

"Resto convinto che quel modo di interpretare il campo ha esaltato alcune caratteristiche, per esempio “isolare” Kean nel lavoro di uomo reparto lo ha gratificato, con le conseguenze statistiche evidenti. Magari penalizzando altri giocatori del reparto, ma il conto tornava. Che il ritmo basso abbia protetto difensori che non possono difendere uno contro uno ma solo di reparto (e ci ha guadagnato Ranieri, e si è perso Martinez Quarta, che nei concetti si incasina un po’). Credo che quel ritmo abbia evidenziato il cambio di passo di Dodò, e abbia ingolfato gli esterni d’attacco (tutti infatti spariti). Credo che Gosens e De Gea siano giocatori di un livello superiore, e per loro si può evitare il relativo delle tattiche: danno. Insomma, con un gioco più proteso in avanti magari la Fiorentina sviluppava una maniera che poteva metterla al sicuro contro Monza e Venezia e Torino e prendere più punti in quei match, creando un effetto di forza più solido nell’immaginario. Ma sono anche sicuro che sarebbero mancate quelle vittorie ripetute, alcune clamorose (11 gol segnati a Inter, Juve e Roma): dunque non sarebbe diversa la classifica. Ma smontare e rimontare le cose così funziona solo per accreditare le nostre idee".

In conclusione, Palladino non poteva fare di più?

"Palladino ha maneggiato più volte le sue idee perché la stagione ha proposto cambiamenti drammatici e profondi, e anche necessità evidenti (durante la crisi invernale). Nella breve carriera, si era trovato bene con il 3-4-2-1 e ha cominciato da lì, oltretutto l’arrivo di Gosens dava forza a quell’idea. L’assenza di Gudmundsson ha tolto prospettive a un modulo che ha bisogno di numeri dai sottopunta. Variare nel 4231 con Bove sdoppiato in un centrocampo di giocatori - Cataldi, Adli - che facevano la panchina nelle squadre che andavamo a battere in quei gloriosi giorni (Roma, Lazio, Milan) raccontava di un’idea nient’affatto banale ma riuscita benissimo. Poi sappiamo cos’è successo (ma per comodità si tende a dimenticare). Non è “saltato” solo Bove, si sono fatti male tutti i centrocampisti, la Fiorentina è calata e per troppe partite è mancata un’espressione sufficiente di gioco e di emozione. Poi la Fiorentina si è aggiustata ancora sul 3511 trovando i punti per il sesto posto (e farlo passare per banale è insopportabile) e per competere con il Betis, una partita che racconta bene la squadra, capace di competere, di essere “dentro” l’obiettivo ma senza restituire una visione per scatenare pulsioni superiori, per - magari - uscire ugualmente sconfitta ma dando l’impressione di aver consumato tutto il potenziale. A volte sono necessarie anche le illusioni ottiche".

Nel mirino della contestazione adesso c'è Pradè, come giudichi il suo lavoro?

"Curiosamente, dopo qualche sessione di mercato in cui si ricordavano i vuoti, le ultime due sessioni sono state buone. Molto buone se si parte dall’obiettivo di rivoltare l’organico per togliere dallo spogliatoio la delusione di Atene e dunque con tanto lavoro da fare e gli errori in agguato. Sono stati presi giocatori in uscita da squadre più forti, ma identificati per caratteristiche utili e combinabili. È mancato il vice Kean, d’accordo, errore incomprensibile, ma in Serie A non esiste un organico al sicuro. Sono arrivati giocatori che possono costruire la Fiorentina del futuro su una base superiore a quella recente. Fra loro ci metto Fagioli, mi spendo volentieri per lui, un centrocampista di personalità e qualità, che va verso gli anni migliori della carriera, e può diventare il leader tecnico della Fiorentina. A questa squadra adesso bisogna aggiungere “gamba”, qualsiasi tecnico arrivi, un pensatore nella linea difensiva (se il nuovo tecnico vorrà giocare da dietro), almeno un giocatore con colpi d’attacco (se seconda punta o esterno, dipenderà dalla scelta di gioco)".

Quali colpe si possono addossare a Pradè per la situazione che si è creata?

"Dunque, dopo una stagione che permetteva un’analisi profonda senza l’assillo del fallimento (ripeto: essere delusi ed aver fallito non è la stessa cosa), che dava tempo per migliorare con operazioni mirate, che poteva essere vissuta (negli altri e bassi) come un investimento, se veniva accettata l’inesperienza di Palladino, e ne veniva apprezzata la passione, finisce invece in questo scontro fra tutti. E allora una colpa c’è, senza volersi erigere a giudici: l’incapacità di costruire una “politica” viola. Che ascoltasse i malumori, l’interpretasse, li combattesse (se velleitari od opportunisti), li superasse se motivati".

Ti aspettavi che Commisso si comportasse diversamente nei confronti di Pradè?

"Commisso è come un capofamiglia: crede che quelli intorno siano anzitutto sangue contiguo. In questa visione, c’è una concezione molto culturale più che imprenditoriale. Da qui, l’invariabilità delle cariche. Poi, forse, i risultati che cerca sono diversi da quelli che animano il popolo della Fiorentina: forse è questo l’aspetto che fa accumulare frustrazione che poi sfoga nella contestazione. Infine, la distanza, che nell’addio di Palladino - nella sua dichiarata impossibilità di avere un rapporto diretto ma sempre mediato dalla società - si manifesta come una debolezza per qualsiasi avventura. Adesso però serve un suo approfondimento sui fatti, sulle cause, sulle accuse che hanno intossicato la sua impresa sportiva. Serve una sua presenza scenica e concreta. Un richiamo che dia forza a Pradè - se resterà - o una ricomposizione, se questi giorni sono davvero un finale di stagione. E ogni tanto c'è il bisogno di un cambio di stagione, quando un ambiente si è avvitato e non va più avanti".

I tifosi chiedono una Fiorentina che non abbia come obiettivo massimo il sesto posto...

"Per me un’analisi seria parte dai parametri. La Fiorentina è in questo momento settima per monte ingaggi, sesta per numero di tifosi, la città è la settima per abitanti fra quelle in serie A, è ottava per i soldi ricevuti dai diritti tv (che mescolano alcuni parametri vari e seri di competitività), per via dello stadio-cantiere è quattordicesima al botteghino. È nona per valore della rosa (secondo la valutazione di Transfertmarket). Non esiste un solo parametro dunque superiore alla classifica finale. Capito? Nessuno. Parlare di fallimento è insensato, essere attanagliati dalla delusione è umano".

Dunque bisogna "rassegnarci" a questa dimensione?

"Una proprietà e una società devono agire per migliorare quei parametri (anche le istituzioni territoriali, come nel caso dello stadio, ma siamo partiti tardissimo e ci vorranno anni). Investire significa mutare quei parametri: il Napoli ha scalato le classifiche, ha cresciuto tifosi, diritti tv e incassi dal botteghino e dalle competizioni. E quello si può fare, non c’è bisogno di imitare: perché un parametro - uno - superiore al sesto posto esiste: Commisso è il secondo proprietario più ricco della Serie A, come patrimonio personale. Lontanissimo dagli Hartono (Como) ma superiore agli altri. Il centro sportivo lo dimostra. La Fiorentina no".