Per questo, a prescindere da come si chiuderà questa stagione, quanto fatto in questi tre anni rappresenta uno straordinario patrimonio e una preziosissima lezione. Il patrimonio è la cultura calcistica impiantata nel gruppo, l'identità, le conoscenze. La lezione è la stessa che lasciarono in eredità Prandelli e Montella prima di Italiano: se si coltiva il bello, e si lavora nella continuità, si possono costruire cicli “vincenti”. A prescindere dai titoli e trofei. Pensateci. Pensate a quanto sarebbe bello fare del Viola Park (struttura ideale da questo punto di vista) la culla di un tante e troppe volte decantato “modello”. Una “casa” dove educare ad un certo tipo di calcio fin dai primi calci al pallone, facendo della prima squadra e del suo allenatore il faro da seguire. Sarebbe bellissimo veder costruire qualcosa del genere e siamo sicuri che alla gente piacerebbe da morire e che per questo sarebbe anche disposta a “sacrificare” qualche risultato nell'immediato.
In fondo, è un po' come nella politica. Un mondo dove si vendono promesse usa e getta, buone sole per cavalcare l'umore delle persone e per stuzzicarne la pancia. Gli statisti invece (quelli veri, non quelli avocati da improbabili generali) son quelli che sanno indicare a un popolo un orizzonte lontano, educandolo e guidandolo, non seguendolo. Che bellezza se Firenze e la Fiorentina facessero tesoro di quanto seminato in questi anni, e ci investissero sopra. Utopia? Molto probabilmente si. Eppure, come diceva Galeano, “l'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l'utopia? A questo: serve per continuare a camminare.”
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