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Yes, he Kean: sì alle 2 punte. Gosens e la lezione degli US Open sulla pressione

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Siamo entrati nella settimana della ripresa del campionato, dopo gli impegni delle Nazionali: ci sono diversi spunti sui quali riflettere
Matteo Magrini

Yes, he Kean. Sì, Moise può giocare accanto ad un altro centravanti e (soprattutto) può essere efficace anche in una squadra col baricentro alto, la propensione al dominio delle partite e, quindi, destinata a portargli molti più giocatori attorno e di conseguenze a ridurgli gli spazi. Certo, Kean non avrà mai i piedi e la qualità di Van Basten e non penserà né vedrà mai calcio come Dzeko. Moise era e resta un istintivo, un diamante per certi versi grezzo, ma il processo di maturazione sta andando avanti e quanto visto nel doppio impegno con la Nazionale sta lì a dimostrarlo. Vero, ed è giusto sottolinearlo, che Retegui ha caratteristiche molto diverse da quelle di Piccoli. L'ex Atalanta infatti vive molto più dentro l'area di rigore ed è difficile invece che venga incontro il pallone e che lo voglia “addosso”. L'attaccante acquistato dal Cagliari, al contrario, ha qualità e attitudini molto più simili a quelle di Moise e, del resto, è stato preso proprio perché desse al mister un'alternativa. La coesistenza insomma sarà forse un po' meno naturale e automatica, ma Kean ha fatto vedere di poter giocare anche qualche metro più indietro, di saper girare al largo dell'area e, se serve, di poter colpire pure da lontano. 

Una bella notizia per Pioli visto che, moduli a parte, la filosofia sarà sempre la stessa: pressione in avanti, voglia di aggredire e non di subire le partite, attaccare con più uomini possibili. Per una volta insomma, la Fiorentina può ringraziare l’Italia e godere del fatto che gli azzurri restituiscano ai Viola un attaccante che, dopo un paio di gol mangiati in campionato, aveva sicuramente bisogno di sbloccarsi. Tornerà stanco? Non credo. Moise è giovane e certe serate, si sa, non fanno altro che mettere (e non togliere) benzina nel motore. La speranza adesso, è che tempo, allenamenti e partite facciano sì che Pioli riesca a trovare quadra ed equilibri di cui è alla ricerca perché, ed era esattamente questo che il mister e la società avevano in mente durante il mercato, là davanti il potenziale è veramente di primissimo livello.

La prima in casa

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Intanto sabato, per la prima al Franchi di questa stagione, arriverà il Napoli. Un esame tosto, contro la squadra per distacco più forte e attrezzata del campionato, e con la necessità di iniziare a dar risposte prima di tutto a se stessi. A proposito. Ho letto con attenzione la bella intervista di Gosens all’amico Leonardo Bardazzi e devo dire che un aspetto più di altri mi ha colpito. “La Champions può essere un traguardo ma non deve diventare un obbligo”, ha detto il tedesco. Pensiero più che condivisibile visto che io per primo penso che ci siano cinque squadre ancora teoricamente più forti della Fiorentina. Mi preoccupo un po’ invece, quando Robin dice che per rendere al meglio “bisogna giocare liberi di mente, senza pressioni”. Ora. Se è certamente vero che con la testa leggera si può performare meglio è altrettanto evidente che se si vuol “crescere” (altro verbo utilizzato da Gosens) non si possono scansare le pressioni. “Pressure is a privilege”, recita la targa che accompagna i tennisti all’ingresso sul centrale di New York dove si è appena disputata la finale dello Us Open tra Sinner e Alcaraz. La frase è di Billie Jean King (un’icona dello sport mondiale) e non serve tradurla. I grandi, ragionano così. I vincenti, ragionano così. Chi ha ambizione, ragione così. Per questo, visto che non metto assolutamente in dubbio quanto dice Robin, aspetto che il gruppo cresca, che nel tempo arrivino altri giocatori di grande personalità, e spero che le aspettative (alte) che si sono create attorno alla Fiorentina non le creino problemi.