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Palladino, errore prima di tutto di metodo. Pradè/mister, qualcosa non torna…

Palladino, Pradè
Il tecnico viola e il prolungamento che sarebbe, secondo quel che filtra dal Viola Park, arrivato su proposta iniziale di Pradè: c'è qualcosa che non torna in tutto questo
Matteo Magrini

E' la domanda che tutti si son fatti fin da domenica sera quando, dalla Curva, è partita la contestazione (anche) contro Raffaele Palladino: “E ora?”. Dubbio lecito, visto il contratto appena esteso fino al 2027 e la forza con la quale, il dg Ferrari, aveva ribadito la scelta fatta. A proposito. Si è detto (e così risulta) che il prolungamento sia arrivato su e per diretto input del presidente Commisso, praticamente all'insaputa dell'intera area tecnica. Una versione circolata (scritta e raccontata da più parti) senza che nessuno si sentisse in dovere di smentirla o quantomeno di chiarirla. Poi, pensa te i casi della vita, esplode la contestazione, la tifoseria mette nel mirino principalmente proprio il tecnico e puff. Come per magia dal Viola Park si affrettano a far sapere (ovviamente informalmente) che la decisione di rinnovare il contratto a Palladino ancor prima di sapere come sarebbe finita la stagione è stata del direttore sportivo, per poi essere avallata dal direttore generale e soltanto da ultimo dal presidente. 

Qualcosa non torna

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Delle due, l'una: o la società ha sbagliato a non fermare sul nascere le voci che parlavano di decisione della proprietà calata sulla testa dei dirigenti o, fiutata l'aria, dagli Usa hanno in qualche modo preferito prendere un minimo di distanza dalle scelte fatte. L'unica cosa certa è che (chiunque abbia voluto esercitare l'opzione per il 2027) è stato commesso come minimo (senza voler insistere troppo sul merito) un errore enorme di metodo e di comunicazione. Ripeto: non parlo di merito, ma di metodo. Perché se poi fossimo davanti ad un club con un certo tipo di storia recente, con alle spalle annate nelle quali ha dimostrato di saper (e voler) programmare, brava a immaginare, dar corpo e insistere su un certo percorso allora quel prolungamento andrebbe accolto (a prescindere da qualsiasi valutazione personale su Palladino) col piacere di chi vede serietà, programmazione, convinzione in ciò che fa. E invece, cosa accade appena la tifoseria alza la voce? Nessuno si presenta davanti ai microfoni, si abbandona a se stesso l'allenatore (e non è la prima volta) e, giusto per gradire, si mette un ulteriore carico sul direttore sportivo. Un diesse che, a dar credito ai messaggi fatti filtrare in queste ore, avrebbe una visione della gestione bipolare. Nelle interviste al canale ufficiale non perde occasione (l'ultima volta dopo Venezia) per mostrare un certo “fastidio” per gli errori del mister. Dall'altro, però, decide di rinnovargli il contratto ancor prima di sapere se avrebbe o meno centrato gli obiettivi.


Responsabilità

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Come diceva quello? Ci sarebbe da ridere, non ci fosse da piangere... Torniamo alle cose serie, però. E a quella domanda: e ora? Detto che certe prese di distanza potrebbero anche far pensare ad una possibile inversione a U, l'unica cosa da fare per una società seria sarebbe parlare pubblicamente e assumersi la responsabilità della scelta: “L'allenatore è Palladino, capiamo l'insoddisfazione dei tifosi ma noi siamo convinti del suo lavoro e faremo di tutto perché questa stagione sia un punto di partenza per provare a centrare gli obiettivi che abbiamo mancato quest'anno”. Punto. Né più, né meno. Accadrà? E chi lo sa. In quel caso, faremo i complimenti al club per la chiarezza di idee e ci metteremo in attesa di vedere che scelte verranno fatte sul mercato per dar corpo alle rassicurazioni. Altrimenti, davanti ad ulteriori silenzi, partiremmo nel peggiore dei modi (e mondi) possibili. Si vedrà.

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Vincere o giocare a pallone? Nessuna delle due

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Il mio pensiero è che una società non debba mai agire per il consenso ma, semmai, provare a conquistarselo. Altrimenti (vi ricorda qualcosa il nome Delio Rossi?) si rischiano disastri. Tradotto: non si deve cambiare perché la curva contesta. Ciò non significa però far finta che città, piazza e sentimenti non esistano. Al contrario. E fu proprio Daniele Pradè (arrivando a Firenze per il suo primo ciclo) a spiegarlo: “Firenze è abituata al bello e la squadra deve rispecchiare la città”. Giusto. Questo è un pubblico dal palato fine, molto esigente (anche troppo, anche se a nessuno piace sentirselo dire) e, quando guarda la Fiorentina, si vuol divertire. E nel calcio, si sa, ci sono due modi per divertirsi: vincere, o giocare a pallone. Per capirsi: si può accettare un gioco vecchio, bloccato, speculativo e difensivo solo e soltanto se porta a qualcosa di concreto. Per questo, Palladino, ha bucato la stagione. Perché ha scommesso tutto sul risultato, e non l'ha ottenuto. Che poi l'abbia fatto per convinzione o per necessità beh, dovrebbe essere lui a spiegarlo.

La ricetta

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Chiusura, ma siamo sempre sul tema, sui malumori della tifoseria. Legittimi, come sempre. Anche comprensibili visto che da anni qua pare sia impossibile crescere mentre il fiorentino si sente legittimato a puntare in altissimo. Lo ha sperimentato sulla sua pelle Montella (contestato dopo una sequela di quarti posti e una semifinale di Europa League), e ne è stato vittima e l'ha capito (troppo tardi) Italiano, ricoperto di melma nonostante abbia regalato bel calcio e portato in tre finali due squadre a dir tanto normali. Come se ne esce? Con competenza, scelte giuste, coraggio e, va da sé, difesa dei propri gioielli e qualche investimento. Follie? No. Del resto Atalanta, Bologna, Lazio, Napoli... ci sono riuscite. E se proprio non si riesce/vuole salire un po' più su almeno che si offra un bello spettacolo...