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La lezione della Fiorentina sui giovani e la speranza di rivedere un calcio degno di Firenze

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Il tristissimo spettacolo offerto dal calcio italiano in queste ultime settimane, offre lo spunto per fare alcune riflessioni interessanti anche in chiave Fiorentina
Matteo Magrini

Potrebbe andare peggio… potrebbe piovere…”. Il resto, lo conoscete. La citazione (mi rifiuto di spiegarla perché, altra citazione, se non sapete a cosa mi riferisco “è un problema vostro”) serve per descrivere lo stato del calcio italiano e, sentendo un po' l'aria che tira, per immaginare quello che potrebbe accadere in futuro. E sia chiaro. Non è tanto (o non solo) un problema di allenatore.

Certo, l'idea di vedere Gattuso o Cannavaro sulla panchina più importante (lo è ancora?) del Paese non è che induca a caroselli e fuochi d'artificio ma, appunto, ben peggiore è il sentimento sapendo che tutto resterà in mano a chi ha comandato fino ad ora. Colui che giusto un paio di giorni fa, dopo aver esonerato in fretta e furia il ct, è riuscito a dire, testuale. “Non dobbiamo correre, abbiamo tempo e me lo prenderò tutto per capire se c'è un nuovo progetto”. Se c'è un nuovo progetto??!! Chissà. Magari lo troverà perso in qualche cestino della spazzatura. O forse lo sentirà gridare impaurito nella notte. Del resto lui è soltanto il Presidente della FIGC, mica spetterebbe a lui crearlo, quel progetto.


Poerannoi, direbbe il poeta. Eppure, il tristissimo spettacolo offerto dal calcio italiano in queste ultime settimane, offre lo spunto per fare alcune riflessioni interessanti anche in chiave Fiorentina. Una, perché quando ci vuole ci vuole, sul lavoro fatto sia negli ultimi anni della passata gestione che da quando è cambiata proprietà, sul settore giovanile. Certo, il Viola Park, ma non solo. Squadre spesso sotto età rispetto alle altre (non a caso la Primavera lo scorso anno ha faticato mentre in questa stagione è stata molto più competitiva), una percentuale altissima di ragazzi italiani e soprattutto toscani, il coraggio di portarli in Prima Squadra.

Ed è oggettivamente impressionante buttar giù un'ipotetica formazione “home made”. Martinelli; Kayode, Comuzzo, Ranieri, Fortini; Bianco, Amatucci, Bernardeschi; Sottil, Vlahovic, Chiesa. Ce ne siamo sicuramente dimenticati qualcuno ma, comunque, non si può far altro che dire “bravi”. Perché da altre parti faticano a tirarne fuori uno ogni tanto, di calciatori, mentre a Firenze son “nati” o son stati cresciuti calciatori in serie e, parecchi di loro, si son rivelati giocatori di primissimo piano.

L'altro spunto, arrivato in questo caso dalla disfatta con la Norvegia e ancor prima dalle sberle prese dall'Inter nella finale di Champions col PSG (ma si potrebbe parlare anche della semifinale col Barcellona, se solo da queste parti non contasse solo il risultato) riguarda il tipo di calcio che ancora qualcuno si ostina a proporre. Un calcio speculativo, fatto di blocco basso, ritmi da dopolavoro, poca aggressività. Verrebbe da dire “arrendetevi”. Perché quella filosofia può pagare una volta, magari due, forse anche per una serie di partite, ma alla lunga è destinata a perdere.

Sia chiaro. Questo non vuol dire mortificare il talento o sacrificarlo sull'altare del gioco e dell'organizzazione. E' esattamente il contrario. Significa mettere il talento, il singolo, nelle migliori condizioni per determinare. Prendete Nusa, o gli attaccanti esterni del PSG. Qual è l'idea degli allenatori? Recuperar palla prima e il più in alto possibile, per poi buttarli in spazi per forza coperti male da chi ha appena perso il possesso. E ancora. Con la costruzione da dietro (quando si può fare, ovviamente) l'obiettivo è chiaro: arrivare a isolare quelli bravi nell'uno contro uno e, da lì, affidarsi alle loro giocate.

Per farlo, va da sé, servono calciatori con certe caratteristiche (forza, velocità, grande qualità tecnica) e un'educazione profonda. Coraggio, personalità, sfrontatezza, conoscenze. Sono questi i concetti vincenti e Stefano Pioli (tanto per venire alla Fiorentina) lo sa benissimo. Basta ripensare alla sua miglior Lazio, o al Milan che ha condotto allo Scudetto, a un secondo posto, e ad una semifinale di Champions. Era, quella rossonera, una delle squadre “più europee” che avevamo: aggressiva, con una linea alta, brava a giocare uomo su uomo a tutto campo, veloce.

Per questo insomma, ci auguriamo che il mister riporti questa filosofia anche nella sua nuova Fiorentina. Perché dopo un anno di noia c'è tanto bisogno di aria fresca e siamo sicuri che anche i calciatori, portati ad osare di più (e quindi ad aumentare in autostima) sapranno andare oltre a certi limiti. Va da sé, per chiudere, che la base resta la qualità. Perché si possono avere tutte le migliori idee del mondo ma, senza gambe e teste buone per metterle in pratica, si parla (quasi) del nulla.