Restavano due possibilità: cercare un colpo all'estero (per quanto ne sappiamo la soluzione sarebbe stata Dallinga), scommettere su un giovane (Lucca?) o provare a rilanciare un grandissimo talento. Pradè ha scelto quest'ultima strada, anche grazie alla precisa richiesta di Palladino, e ha vinto. L'importante adesso è continuare a maneggiarlo con cura, coccolarlo, magari proporgli subito un nuovo contratto (con adeguamento verso l'alto di ingaggio e clausola....) e, nel frattempo, cercare un centravanti di riserva che non gli faccia troppa concorrenza ma che, quando servirà, non ne faccia sentire troppo la mancanza. Missione difficile, ne siamo consapevoli, ma non impossibile.
Intanto, non resta che godersi questa squadra e, soprattutto, questa sosta di novembre ad altissima quota. Senza volersi illudere, ma lasciando ai tifosi il più che legittimo diritto di sognare e con un paragone che ci stuzzica la mente. Quello con un'altra Fiorentina che fu capace di issarsi fino in vetta e che, come questa, si poggiava soprattutto su due pilastri: portiere e centravanti. Stiamo parlando della Fiorentina 1998/1999. Quella che, con un Batistuta da urlo e prima del suo maledetto infortunio, vinse il “titolo” di campione d'inverno. Certo, nel complesso quella era una squadra più forte. Aveva (anche) gente come Rui Costa ed Edmundo, o difensori come Torricelli ed Heinrich. Tantissima roba. Eppure, oltre al grande numero 1 e al grande bomber, c'è anche il modo di stare in campo tra gli aspetti in comune. Una grande attenzione difensiva, pochi fronzoli e un bomber capace (con pochi palloni) di risolvere le partite. E magari a Palladino il parallelo con Trapattoni non piacerà (il mister di oggi ha una visione sicuramente più moderna del calcio) ma non c'è niente di male (anzi) nel riconoscere come la qualità principale di questo allenatore si stia rivelando il pragmatismo: ha capito che aveva in mano individualità importanti, e su queste ha costruito l'identità.
Una Fiorentina che vince grazie ai giocatori, più che grazie al gioco. Senza che (come detto) questa voglia dire sminuire il lavoro dell'allenatore. Al contrario: ha fatto scelte coraggiose, ha rivisto le proprie convinzioni iniziali, e si è messo “al servizio” del materiale che ha a disposizione. Si chiama “intelligenza” e, nel calcio come nella vita di tutti i giorni, di persone così se ne trovano sempre meno.
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