E' vero, né Mandragora né Richardson in questo momento offrono chissà quali garanzie ma insistere con i due mediani (soprattutto considerando che uno di questi, Adli, non fa della quantità e della corsa il proprio marchio di fabbrica) significa condannare i viola ad un'autonomia limitata. Parecchio limitata. Quarantacinque minuti, o poco più, e poi la luce si spegne. Era successo col Cagliari, è successo a Bologna, ed è successo con l'Udinese. Tre indizi, appunto, che seppur con tutte le loro differenze bastano per arrivare a sentenza. Eppure, non è solo questione di condizione atletica o di potersi permettere un certo modulo. C'è dell'altro.
Atteggiamento
—Punto primo: la filosofia di gioco. Sarò fatto male io, sicuramente, o magari un certo tipo di atteggiamento è figlio (anche questo o almeno in parte) sempre della condizione, ma non si può vedere una squadra che segna un gol e in casa, contro un avversario certo non irresistibile, sposta armi e bagagli nella propria metà campo e rinuncia completamente a proporre. Si dirà, ed è vero, che la Fiorentina ha costruito la propria classifica e le sue otto vittorie di fila proprio così: difesa, e contropiede. Il problema è che per permetterti quel tipo di calcio devi sperare che il centravanti trasformi in gol ogni minima occasione (accadeva un mese fa, oggi no) e che il portiere (ricordate Milan, Genoa, Como solo per citare i casi più eclatanti) pari anche i moscerini. Altrimenti, producendo poco e portandoti il nemico dentro casa, i rischi di uscirne male sono sempre dietro l'angolo.
Punto secondo: il livello di certi giocatori. Sbaglio, o ieri si è sentita una frase che negli anni scorsi era diventata una specie di tormentone? “In quelle zone del campo voglio che si alzi la qualità”, ha detto Palladino, e pareva di sentire Italiano. Aveva ragione uno, e ha ragione (oggi) l'altro. Il riferimento, va da sé, è a gente come Sottil, Ikonè, Beltran, Kouame, Colpani. Esterni offensivi o “sottopunta” che non segnano (quasi) mai e determinano una volta si e dieci no. Per questo, tutto sommato, togliere uno di loro (almeno per ora) per dare un po' più di equilibrio non è che debba portare con sé chissà quali rimorsi o preoccupazioni.
Punto terzo: l'umiltà. Si vede nei dettagli e anzi, ad una visione distratta della partita si fatica ad accorgersene. Eppure l'ha fatto capire il mister quando ha detto che “abbiamo sbagliato atteggiamento nel secondo tempo e comunque voglio vedere più altruismo” e, soprattutto, l'ha certificato Pradè. “Dobbiamo fare un bel bagno di umiltà per tornare quelli che lottavano per vincere su ogni pallone perché oggi non lo siamo stati”. Parliamo di piccoli particolari: la corsa in più per coprire il compagno, il pallone buttato in tribuna per non rischiare (vero Ranieri?), l'assist a chi è messo meglio invece che il tentativo personale. Bene insomma aver colto subito i segnali, in modo da intervenire immediatamente.
Bilanci
—Detto tutto questo, è giusto ribadire che stiamo parlando comunque di una squadra in piena lotta per un posto in Champions e che, prima di cadere per due partite di fila (non era mai successo in stagione) aveva comunque infilato una serie di otto vittorie. Vietato deprimersi insomma, o buttar via tutto quello che è stato fatto fin qua. Si tratta semplicemente di analizzare la situazione, di rendersi conto (si poteva fare anche prima, bastava non tapparsi gli occhi) che non tutto funzionava o brillava nemmeno nel periodo più bello e che, comunque, ci sono tutte le basi per costruire una stagione bellissima. Basta, appunto, comportarsi con buon senso. Da una parte il tecnico, mettendo mano ad una squadra che sta soffrendo, e dall'altra la società. Servono un centrocampista (non subito, prima, appena aprirà il mercato) e magari anche un uomo offensivo che, cit, “alzi la qualità”. Difficile a gennaio? Sicuramente si. Impossibile? Probabilmente no,
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