Tutta colpa dello stadio-cantiere oppure ci sono altre cose che non quadrano?
Tu chiamale se vuoi... distrazioni
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Chiamiamole pure col loro nome: armi di distrazione di massa. Ne (ab)usano in politica, e tutti regolarmente abboccano, e non son da meno nel mondo del calcio. A Firenze, in particolare, c'è un copione che ciclicamente si ripete. Sempre lo stesso e, quindi, tremendamente prevedibile. Avete capito, no? Succede quando le cose non girano per il verso giusto (e purtroppo capita abbastanza spesso) o quando magari, anche in mezzo ad una stagione tutto sommato positiva, ci si infila in una piccola o grande serie di risultati negativi. E' allora, o magari dopo o nel mezzo di un mercato di gennaio dimenticabile (vi dicono nulla Faraoni e Belotti...?), che torna di moda lo stadio. E sia chiaro. Qua non vogliamo né appoggiare né giustificare né comprendere niente, nessuno né tanto meno l'amministrazione. Ne abbiam già parlato altre volte, sottolineando e analizzando puntualmente demeriti e responsabilità che ci hanno portato al (triste) stato dell'arte. E poi, appunto, che siano i pesci ad abboccare all'ennesimo amo lanciato in questo caso dal direttore generale Alessandro Ferrari.
In fondo, chi ha voglia di approfondire, sa tutto: sa che i numeri dati dal dirigente non tornano, sa che i (colpevoli) ritardi nascono anche dal fatto che la Fiorentina abbia cambiato idea spingendo, dopo aver dato l'ok al trasloco momentaneo, per restare a giocare nel cantiere, sa che il club non ha mai chiarito quali siano le sue condizioni ma, come sempre, aspetta una proposta per giocare in contropiede e sa che, parlare delle condizioni del Franchi come di una delle motivazioni dell'ultimo posto, fa a dir poco sorridere. Basta pensare ai risultati dello scorso campionato, in piena media da Champions in casa, per stoppare qualsiasi cantilena. Si poteva e doveva fare meglio e si dovevano e potevano prendere altre strade? Assolutamente si. E' questo il tema del momento? Decisamente no.
E il calcio giocato?
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Parliamo di calcio allora, argomento poco di moda dalle parti del Viola Park. Talmente poco di moda, a Bagno a Ripoli, che nemmeno gli allenatori riescono a trovare interlocutori (degni) coi quali discuterne. Perché sarà un caso, ma qualsiasi tecnico passi dalla panchina viola finisce col denunciare (o far trapelare) lo stesso, identico, problema. L'ultimo, Prandelli. “Non voglio tornare a quello che accadde nel 2021 – ha detto al Corriere Fiorentino - ma di sicuro anch’io trovai grandi difficoltà: l’allenatore non deve essere mai solo". E ancora. “Alla Fiorentina manca solidità. I dirigenti sono tutti brave persone, ma per gestire certe emergenze serve una struttura importante”. Un vuoto che ha sentito anche Vincenzo Italiano, che ha spinto Raffaele Palladino ad andarsene e che (anche per colpa sua, lo ribadiamo per l'ennesima volta) ha finito per avvolgere e travolgere anche Stefano Pioli. Forse insomma, se ci fosse stato qualcuno in grado di andargli a chieder conto di tutto quello che stava accadendo o di intervenire con un gruppo che lo stava palesemente mollando, non saremmo arrivati a questo punto.
L'approccio di Vanoli
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Chi si chiede il perché di un certo approccio di Vanoli quindi, ha probabilmente trovato risposta. Certo. Noi ci auguriamo che Roberto Goretti (l'unico uomo che sappia cosa sia un pallone rimasto nel club) si riveli un ottimo diesse (in fondo, con lui, Palladino aveva un ottimo rapporto) e che almeno in parte possa dar supporto al nuovo tecnico. Di sicuro però, Vanoli si è informato e sa benissimo dove si trova. Per questo, fin dai primissimi giorni, ha assunto un atteggiamento quasi “autoritario”. Ha imposto nuove regole “social”, ha preteso strategie di comunicazione diverse, e ha dettato a tutti la linea. Un esempio? Il microfono letteralmente rubato a Goretti stesso quando, durante la conferenza stampa di presentazione, stava per rispondere ad una domanda sul mercato. Un modo di fare fermo, deciso, scelto anche per relazionarsi col gruppo. Pagherà? Ci auguriamo di sì, anche se aver quasi vietato l'uso dei social network, così come l''aver consigliato di tenere il più alla larga possibile giornalisti e mondo esterno, somiglia tanto al divieto di smartphone nelle scuole. Si vieta, non si gestisce. Si impone, non si educa. Come se i giocatori/ragazzi fossero bambini incapaci di capire linguaggi diversi. Tutto, francamente, molto triste.